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Relativismo etico e totalitarismi
Teresio Olivelli. Morì durante la deportazione nel campo di Hersbruk
Teresio Olivelli. Morì durante la deportazione nel campo di Hersbruk 
25 Dicembre 2005
 

Tiene banco il dibattito sul relativismo etico, anche sull’onda dell’elezione al soglio di Pietro di uno dei suoi protagonisti: uno infatti dei punti forti della sua riflessione è proprio questo. Ecco, a me pare che il discorso avrebbe bisogno, per essere completo, di tornare un po’ più indietro, ma non tanto indietro da superare gli anni della mia generazione. La nostra giovinezza è stata funestata, negli anni della sua formazione, del suo affacciarsi alla storia, dal fenomeno opposto, e cioè dall’erigersi in assoluto del relativo. Cos’era d’altro quel «niente al di fuori dello Stato, niente al di sopra dello Stato e soprattutto niente contro lo Stato» che si poteva leggere alla voce «fascismo» nelle prime edizioni dell’Enciclopedia Italiana, la Treccani? La firma di chi era? Di Benito Mussolini. Era e fu l’epoca – anzi l’era – dei vari totalitarismi. Non solo di quelli statalisti. Si potrebbe parlare anche, per esempio, di un totalitarismo ecclesiastico. Ma anche gli altri erano accompagnati da veri e propri culti, da liturgie. Per tornare agli anni della mia giovinezza si può ricordare, a questo proposito, la scuola di Mistica fascista, che aveva sede in Galleria a Milano. Uno dei protagonisti della Resistenza, Teresio Olivelli, un cattolico (ricordo ancora certi incontri clandestini con lui), vi era passato attraverso. Questo per ribadire che il meglio dei suoi avversari, almeno a livello giovanile (per quelli più anziani il discorso è diverso), il fascismo se l’era allevato in seno. Di questo trapasso catarchico ho già parlato in una puntata precedente, non senza aggiungere, per la completezza dell’informazione, che è ora in corso la causa di beatificazione di Olivelli, e tra quelli chiamati a testimoniare mi sono ritrovato anch’io.

Benedetto decimo sesto ci comprenderà se dopo gli anni delle corvées assolutistiche ci siamo riposati e adagiati un po’ negli ozi di Capua del relativismo, etico o no. Ma nel frattempo la vecchia talpa non ha smesso di scavare, e ora ci ritroviamo impelagati in un’altra forma, non meno (e forse più) invasiva di assolutismo del relativo, quella del mercato.

Parafrasando la vecchia formula mussoliniana, si potrebbe dire: “Niente al di fuori del mercato, niente al di sopra del mercato e soprattutto niente contro il mercato”.

Con un’appendice: il mercato bussa prepotentemente anche alle porte delle chiese, e non si può escludere che qualche addetto in vena di facili e invoglianti aggiornamenti non resista alla tentazione di aprirle, o almeno di socchiuderle.

* * *

Sono mille miglia lontano dal mettere in dubbio, e tanto meno dal contestare, l’autorevolezza della Conferenza episcopale italiana e per essa del suo attuale presidente Ruini. Non senza però approfittare dell’occasione per osservare che quello italiano è l’unico caso in cui il presidente della stessa Conferenza viene nominato dall’alto e non eletto dall’insieme dei vescovi che la compongono.

La mia lunga esperienza ecclesiale (e anche ecclesiastica, se vogliamo tener conto della distinzione suggerita dal nostro Abramo Levi tra la persona Chiesa e il personale ecclesiastico) mi insegna questo e altro. Quale altro? Per esempio che in certe emergenze – e quella dei referendum era diventata purtroppo tale – la compattezza formale è, non dico necessaria, ma inevitabile. Ciò non toglie che, non solo nel sottofondo o nel subconscio (ne ha uno anche la Chiesa), ma anche ai piani intermedi e superiori esistano e si confrontino una grande varietà di posizioni, anche di principio. Per dirne una, quando la vita propriamente umana può dirsi incominciata? Nel corso dei secoli su questo punto si sono succedute varie interpretazioni, con buona pace del cardinale Scola.

A proposito di Conferenza episcopale, una curiosità: il Papa ha al suo attivo una varietà di titoli, tra cui quello di Primate d’Italia e quindi di componente della Conferenza episcopale italiana e, in questa veste – oltre che in quella di vescovo di Roma – di componente della stessa, quando dice qualcosa bisognerebbe precisare in quale veste la dice.


Camillo de Piaz

(da Tirano & dintorni, luglio 2005)


 
 
 
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