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Carlo Forin. Solo il mio vissuto
11 Novembre 2021
 

Solo il mio vissuto può dar aiuto a qualcuno. Questa idea mi rode molto. Se così è allora la memoria conta qualcosa: ho l’obbligo di narrare.

La vita è bella. Dico questo a settanta-tre anni, cinque mesi e nove giorni.

Il carico d’età alleggerisce ogni mio pensiero: il peso conta qualcosa. Io non posso star solo, in silenzio, col mio vissuto, e star bene, sereno. Questo non va, non ha senso. Se narro, allora scarico in qualcun altro la vita passata. Lui l’osserverà e farà confronti con la sua.

È proprio una vita bella, tutta pulita, senza problemi la mia? Io non penso che ce ne sia una così tra le sette miliardi e novecento milioni circa che respirano. L’esistenzialismo ha molte facce, compresa l’illusione. Ma questa sfuma presto in cozzo coi fatti.

Più vita più fatti. Da trenta anni vivo e rifletto col vissuto. Questo accade dal coma occorsomi nei dieci giorni: quattro aprile - quattordici aprile 1991. Seguì un anno di ricostruzione della memoria per una seconda vita. 

Adesso, posso consapere bene la seconda, che sto vivendo, confusa la prima, pre-istorica. In quella vivevo, senza riflettere continuamente sul filo di vita. Sregolato. Il coma mi ha fatto pensare, di continuo, sulla memoria.  

La memoria è il filo del me. Mi invita a pensare perché son nato, a far che cosa. Le risposte a tutte le domande fanno me pesante e leggero: carico di senso e libero di vivere. Io non sono un filosofo. Dunque, non ho un sistema di vita esemplare da proporre. Sono un sociologo, innamorato delle parole che descrivono i fatti. Perciò la lingua è diventata la mia specialità. So che fu stata dingua in latino. Come scriveva il retore Victorinus, descritto da sant’Agostino nel capitolo VIII de Le confessioni nella sua visita a Simpliciano.

Din-gua compone in zumero dingir –ir + gu-a.  

Questa è un’operazione archetipica, la novità che mi fa scrivere.  

 

Carlo Forin


 
 
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