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Gianfranco Cercone. “Un’intima convinzione” di Antoine Raimbault
02 Agosto 2020
 

L’espressione “un processo kafkiano” può essere riferita a svariati casi giudiziari, nei quali, comunque, si vuole intendere (credo), si insinua l’assurdo, tanto che possono somigliare a un sogno, o meglio ancora a un incubo, in cui precipita l'imputato.

Di “processo kafkiano” parla esplicitamente l’avvocato difensore nella sua arringa conclusiva, in un film ispirato a un caso giudiziario che si è realmente verificato in Francia circa dieci anni fa: il film si intitola Un’intima convinzione, è diretto da Antoine Raimbault, esordiente nel lungometraggio; è uscito in questi giorni in alcune sale italiane per iniziativa di un distributore indipendente, Movies Inspired.

L’assurdità deriva qui dal contrasto tra l’indeterminatezza del caso di cronaca che dà luogo al processo, e la precisione e la gravità delle accuse a carico dell’imputato.

Accade che la moglie di un professore di Diritto, scompare. Il suo cadavere non viene ritrovato. Tuttavia il marito è indagato e poi accusato e arrestato, per l’omicidio di sua moglie. Non gioca a suo favore la personalità dell'uomo: che è poco espansivo, cupo, sofferente - si dice - di disturbo bipolare. È noto inoltre che la moglie intendeva chiedere il divorzio e aveva un amante. Ed è proprio quest’ultimo che orchestra un'indagine clandestina e una campagna giornalistica, contro il marito. Forse perché è davvero convinto che lui abbia ucciso la moglie; o forse, si ipotizza, perché il colpevole è proprio l’amante che la moglie non aveva più intenzione di sposare in seconde nozze; e che dunque intende spostare i sospetti sul marito.

A carico del marito si rinvengono soltanto indizi. Comunque giornali e televisioni sembrano in maggioranza “colpevolisti” e “sbattono il mostro in prima pagina”. Anche gli inquirenti si convincono della colpevolezza del marito, e rivolgono pressioni indebite, e minacce, al padre dell’indagato perché induca il figlio a confessare.

Il processo vanifica il fragile castello di accuse, e stabilisce l’innocenza dell’imputato. Ma il Pubblico Ministero ricorre in appello. Ed è proprio su questo processo di secondo grado, che si focalizza il film.

Il linciaggio giornalistico si riaccende. E il pregiudizio dell’opinione pubblica rischia seriamente di sopraffare la serenità di giudizio del nuovo giudice e della nuova giuria popolare.

Questo rischio almeno si profila agli occhi di una donna che era stata parte della giuria popolare che aveva assolto l’imputato, e che ora, al nuovo processo, con generosità, con passione, animata dall’“intima convinzione” (che è un’espressione giuridica!) dell’innocenza dell’imputato, ma anche con un coinvolgimento emotivo che rasenta l’ossessione, si dà da fare per arruolare un nuovo avvocato prestigioso e per collaborare con lui al reperimento di prove a discolpa dell’imputato.

Il film che si mantiene sempre realistico, ben lontano dal surrealismo kafkiano, capta e rende efficacemente il senso di minaccia che proviene dall'onda montante delle suggestioni irrazionali, dei pregiudizi fanatici dei “colpevolisti” ma anche poi degli “innocentisti”; che può sopravanzare la razionalità, il senso del diritto, e il principio fondamentale, che viene esplicitamente richiamato, della presunzione di innocenza dell’imputato.

Se la vicenda coinvolge e può appassionare lo si deve anche all’eccellente terzetto degli attori protagonisti, capaci di rendere le ambiguità e le contraddizioni dei loro personaggi: Olivier Gourmet nel ruolo dell’avvocato; Laurent Lucas nel ruolo dell’imputato e Marina Foïs nel ruolo della giurata “innocentista”.

Ma sono ben individuate anche le figure secondarie del racconto: per esempio i figli dell’imputato, o il giudice, che ha l’aria di un fine ragionatore. Fatto verosimile forse soltanto in un film francese, la prima domanda che il giudice rivolge all’imputato di cui conosce la cinefilia, è: “A quale film di Hitchcock paragonerebbe il suo caso?”. E che l’uomo risponda: “La signora è scomparsa”, piuttosto che The wrong man - Il ladro (un film che racconta proprio di un uomo accusato e imprigionato ingiustamente) - suona in quel contesto come un sottile indizio a carico dell’imputato.

Molto interessante.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 1° agosto 2020
»»
QUI la scheda audio)


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