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Gianfranco Cercone. “Omicidio al Cairo” di Tarek Saleh
06 Marzo 2018
 

Al cinema d'autore si è soliti contrapporre il “cinema di genere”. Se il cinema d'autore è considerato più libero, più originale e insomma più artistico del cinema di genere, obbedendo soltanto alle intuizioni, al sentimento, alla personalità dell'autore del film, il cinema di genere è spesso considerato più convenzionale, vincolato ai codici, ai clichés, del genere cinematografico di appartenenza.

È una distinzione, a mio parere, tutt'altro che infondata.

È vero però che talvolta i registi del cinema di genere, oltre al rispetto dei codici e dei clichés, introducono nei loro film qualcosa di molto personale, a volte i temi che stanno a loro più a cuore.

Prendiamo ad esempio il film di un regista svedese, di origine egiziana, Tarek Saleh, intitolato Omicidio al Cairo, vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival (come è noto il più importante festival di cinema indipendente), e portato in questi giorni in alcune sale italiane da un distributore, anch'esso indipendente: Movies Inspired.

Omicidio al Cairo è manifestamente un film di genere poliziesco, e importa, dai classici del genere, vari elementi che lo spettatore appena un po' esperto, riconosce subito.

Il racconto prende l'avvio dall'omicidio di una ragazza, una cantante, in un albergo di lusso. Presto si scopre che il crimine è correlato a certe fotografie compromettenti, che ritraggono un uomo altolocato, un parlamentare egiziano, sposato e con figli, a letto con lei; e che quelle fotografie sarebbero state la posta di un ricatto. Le indagini della polizia sono compromesse dall'intervento di persone molto influenti. E tuttavia un poliziotto coraggioso riesce a scoprire tutta la verità.

Fin qui, come si vede, niente di imprevedibile.

Ma l'arte, si sa, è nei dettagli. E nei dettagli, nella pittura d'ambiente e dei personaggi, la mano dell'autore si rivela spesso molto abile, molto fine.

L'ambientazione del film è Il Cairo ai tempi della “primavera araba”, quando, nel 2011, una folla di ribelli riempiva piazza Tahrir. E, nel contesto del film, quei moti sembrano appuntarsi in particolare contro la corruzione del regime egiziano, al cuore della vicenda. (Si dice che il costruttore e il parlamentare coinvolto nell'omicidio è un amico intimo della famiglia di Mubarak, come si sa il presidente dell'Egitto allora in carica).

È una corruzione, per come è descritta, così inveterata da essere divenuta come una seconda natura per i personaggi, è stata da loro intimamente assorbita.

Si è forse abituati a immaginare il corrotto come un individuo sprezzante, protervo.

Se qui consideriamo il capo dell'ufficio di polizia dove lavora il poliziotto protagonista, troviamo invece un uomo come rassegnato ad essere corrotto; che certo dalla corruzione ricava vantaggi, di denaro e di carriera, che nemmeno sogna di riscattarsi, e sembra tuttavia umiliato dalla propria corruzione.

E lo stesso protagonista, che intasca soldi dovunque può, perfino sfilandoli ai cadaveri, ha l'aria avvilita di un travet, di un comune impiegato: rubare o accettare elargizioni illegali di denaro sembra per lui soltanto una vecchia consuetudine, che del resto nessuno, o quasi nessuno, gli contesta mai. Se decide di perseguire la sua pericolosa indagine, il suo movente, più che il desiderio di legalità, è forse una passione più privata: l'orgoglio per essere stato sfidato dal personaggio altolocato; la ferita perché un'altra cantante con cui lui è andato a letto e di cui forse si è innamorato, è stata uccisa, essendo a conoscenza della verità.

Se nel mesto cinismo dei poliziotti si accendono dei lampi demoniaci – ma stinti dallo squallore degli edifici pubblici in cui operano – è nel corso di un'altra loro occupazione, a quanto pare abituale: torturare gli indagati, a volte fino a ucciderli, in particolare gli studenti protagonisti della rivolta. E magari sparare contro di loro ad altezza d'uomo quando manifestano in piazza.

Insomma: questa descrizione molto cruda, ma anche molto sottile, del corpo di polizia è il vero nucleo del film. Il poliziesco racchiude, insomma, un intento di denuncia, ritenuta così pericolosa dalle autorità egiziane che all'autore è stato impedito di girare al Cairo. Ha dovuto trasferire le riprese a Casablanca.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 3 marzo 2018
»» QUI la scheda audio


 
 
 
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