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Un sabato pomeriggio alla pasticceria Gattullo 
di Mauro Raimondi
(foto dagospia.com)
(foto dagospia.com) 
29 Novembre 2012
 

L’Ambrogino d’oro che il Comune gli ha attribuito nel 1980 è pienamente meritato. Perché nessuno è più milanese di Domenico Gattullo, titolare dell’omonima e notissima pasticceria sita in Porta Lodovica.

L’etica del lavoro, l’onestà, il piacere della convivialità e della buona tavola sono state, da sempre, caratteristiche dell’animo meneghino, e lui, figlio di Giuseppe salito da Ruvo di Puglia nel 1908, le incarna perfettamente.

Domenico Gattullo l’abbiamo conosciuto sabato 17 novembre in occasione di Bookcity, quando il suo locale è stato sede di una delle tante iniziative che si sono tenute in città: la presentazione del libro Milano è rossonera edito dalla Bradipo.

Tra le pagine, che disegnano due itinerari attraverso i luoghi milanesi legati alla squadra rossonera, si trova infatti un ampio riferimento alla pasticceria dove, a partire dagli anni ‘60-‘70, alcuni milanisti d.o.c. come Beppe Viola, Enzo Jannacci e Renato Pozzetto si incontravano regolarmente. Per mangiare, chiacchierare e divertirsi in quello che avevano battezzato l’ufficio facce, cioè un posto dove si sedevano abitualmente e da cui decidevano, a seconda dell’aspetto del cliente, se costui fosse milanista o interista: in quest’ultimo caso, a volte, il poverino veniva fissato in silenzio fino al suo totale imbarazzo.

L’angolino con il piccolo tavolo c’è ancora, e proprio lì Domenico Gattullo, davanti ad una ventina di spettatori interessatissimi, ha raccontato della sua infanzia di duro lavoro, del suo diploma ottenuto nelle scuole serali del Comune, del successo del locale aperto dal padre nel 1961 e che nei decenni si è via via allargato fino a comprendere l’attuale, ampio, spazio. E poi di una Milano più povera ma dal volto umano, di questi amici poi diventati famosi. In una foto accanto alla cassa “governata” dal figlio Giuseppe, ovviamente anche lui milanista (tanto da presenziare a parecchie finali di coppa del Milan, Intercontinentali di Tokyo comprese), si possono infatti vedere in un rigoroso bianco e nero tutti i già citati protagonisti della scena meneghina degli anni ‘60, a fianco di un giovane Giorgio Gaber e Sergio Endrigo . Tutti lì, da Gattullo, che ricorda anche le visite di Nereo Rocco, durante le quali venivano consumate bottiglie e bottiglie di vini pregiati o superalcoolici di marca, tutte regolarmente pagate (al contrario di quello che spesso succede ai -finti- vip dei nostri tempi, soprattutto se politici...).

Domenico, poi, stacca dal muro un quadro che contiene un divertente articolo del Corriere della Sera scritto da Beppe Viola in cui si celebra il locale. E qui la sua voce si increspa, perché sul terreno dei ricordi compare il giornalista che lui conosceva fin dall’infanzia: «Era unico. Un vero genio, acutissimo: mi diceva che ero al confine del palato, un’espressione incredibile. Ma era anche divertente. Ad esempio, sapeva benissimo che riuscivo a saltare il bancone del bar aiutandomi con la mano, ma visto che, fisicamente, non ne davo l’impressione, verso l’ora di chiusura sfidava gli ignari presenti, raccogliendo le relative scommesse. Al che io andavo nel retro, indossavo qualcosa di comodo, e poi ritornavo nella sala mettendomi a fare flessioni, a corricchiare. Quindi, prendevo la rincorsa e oltrepassavo il bancone: i soldi che raccoglieva li consegnava tutti a me, non ha mai voluto niente per sé. Era di una generosità incredibile. A volte, poi, mi dava i numeri dei cavalli da giocare e mi incaricava di fare le puntate alla ricevitoria: anche in quelle occasioni, mi lasciava sempre una percentuale, non voleva sentire ragioni. Eravamo molto amici, e lui diceva sempre che gli amici bisogna saperseli scegliere bene…».

È a questo punto che Domenico si commuove, e a noi viene spontaneo applaudire entrambi. Beppe Viola, che per gli appassionati resta la vetta insuperabile della competenza mista all’ironia, della capacità di parlare di calcio sdrammatizzandolo. Ma anche lui, Domenico Gattullo, per la sua umanità, la sua sincerità, il suo coeur in man.

Alla fine, lui ci riserva un ultimo onore: la visita del suo sancta sanctorum, il luogo dove crea panettoni e pasticcini, dolci di qualità sopraffina. Tutto è pulito, tirato a lucido, e Domenico, orgoglioso, ci fa vedere il forno, i cannoncini già pronti per l’indomani: «Ormai ho superato i settanta, ma ogni mattina mi sveglio alle 5 e mezza, per controllare personalmente ogni cosa. E poi, per tutto il giorno sono qui, a lavorare».

Inutile aggiungere altro, perché si rischierebbe di cadere nella retorica, e Beppe Viola, da lassù, s’infurierebbe… Saludi

 


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