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Roma oggi: Città chiusa all’arte di strada – 2 
A cura di Maria Lanciotti
Strada Libera Tutti (foto di Raffaella Buonvino)
Strada Libera Tutti (foto di Raffaella Buonvino) 
14 Marzo 2019
 

“Va detto che un artista di valore deve per prima cosa proteggere la propria arte, il proprio spettacolo, e ha quindi tutto l’interesse a sviluppare nel proprio luogo di lavoro un ambiente sereno ed ordinato, che favorisca il godimento dell’arte, e normalmente lo fa proprio osservando e promuovendo, anche tra i colleghi, il buon senso e l’attenzione necessari per una convivenza positiva tra tutti, nel rispetto sia dei residenti e dei commercianti, sia degli altri artisti stessi”

Gli spettacoli di piazza a Roma e le tante battaglie per una regolamentazione adeguata nella rivisitazione di Daniele Mutino, antropologo, musicista e cantastorie

 

 

Dopo l’approvazione della delibera n. 68 del 2000, a Roma si poteva lavorare tranquillamente, forse anche troppo. Nessuno, da parte delle istituzioni e delle forze dell’ordine, si è mai preoccupato di far rispettare il regolamento di quella delibera, e quindi, negli anni a seguire, la liberalizzazione dell’arte di strada si è sviluppata in modo piuttosto caotico. Ci sono stati di conseguenza diversi disagi, soprattutto legati al comportamento scorretto di alcuni sedicenti artisti di strada che suonavano ad alto volume per tante ore nello stesso posto, anche in orari improbabili. A questo si è aggiunto l’arrivo di sempre più immigrati che hanno trovato nell’arte di strada una risorsa, pur non essendo tutti veri e propri artisti. Il centro storico di Roma si è saturato di proposte spettacolari in gran parte di scarso valore e spesso non rispettose delle regole.

La stampa ci ha abbastanza ignorato fino al 2009, quando è cominciata una campagna diffamatoria sistematica, portata avanti specialmente dalla cronaca romana di un importante quotidiano in cui si parlava costantemente degli artisti di strada in termini sempre e solo negativi e pieni di disprezzo, e solo in relazione a problemi di ordine pubblico, arrivando ad agire come una vera e propria opera di disinformazione. Per esempio, l’arte di strada veniva continuamente associata ai disagi provocati dalla cosiddetta movida notturna, con cui l’arte di strada in realtà non ha alcuna relazione in quanto la movida è un fenomeno legato più che altro ai locali e riguarda le ore notturne in cui nessun artista di strada può lavorare.

Proprio nel 2009, con una curiosa e quantomeno sospetta coincidenza di tempi con l’inizio di questa campagna stampa, il signor Dino Gasperini – inizialmente Delegato al Centro Storico e in seguito Assessore alla Cultura della giunta Alemanno – ha iniziato a far girare la bozza di una nuova delibera che egli intendeva presentare al più presto in Consiglio comunale, in sostituzione di quella del 2000. Si trattava di un progetto di delibera del tutto vessatorio nei confronti dell’arte di strada: prevedeva limitazioni eccessive relative agli orari e ai meccanismi di turnazione, con pesanti divieti e multe nonché la reintroduzione dell’obbligo di iscrizione ad un registro che però, come già ai tempi dell’articolo 121, non avrebbe garantito in alcun modo la possibilità di fare spettacolo. Ma l’aspetto più assurdo era che sarebbero state vietate nelle piazze e nelle strade di Roma intere categorie di strumenti musicali, indipendentemente dall’uso buono o cattivo che ne veniva fatto; erano infatti banditi dagli spazi pubblici di Roma:

- tutti gli strumenti a fiato, indiscriminatamente;

- tutti gli strumenti a percussione, indiscriminatamente;

- tutti i tipi di amplificazione, indiscriminatamente.

Da notare che gli strumenti a fiato e a percussione sono due famiglie di strumenti che l’umanità ha creato in origine proprio per essere suonati negli spazi aperti, e per questo hanno strutturalmente un’intensità del suono più alta degli altri strumenti, ma non possono essere considerati di per sé una fonte di disturbo, bensì una fonte di cultura e spiritualità, un patrimonio appartenente a tutta l’umanità: bandirli in blocco dagli spazi pubblici della città, oltretutto in una città di cultura e d’arte come Roma, avrebbe costituito un vero e proprio obbrobrio culturale, una ferita profondissima inferta all’identità artistica della capitale. Non credo di esagerare se dico che sarebbe come decidere di abbattere intere sezioni del Pantheon, di Castel Sant’Angelo e del Colosseo, solo perché la loro ubicazione crea problemi al traffico cittadino.

Anche la questione degli strumenti di amplificazione, tanto esasperata dai giornali, rappresenta in realtà un falso problema.

Contrariamente a quel che si può con leggerezza pensare, infatti, non tutte le amplificazioni creano disturbo, e non è nemmeno vero che esse servono solo per suonare più forte: ad esempio, molti strumentisti di musica classica che suonano strumenti monodici come il violoncello, il flauto traverso, il violino, ne hanno bisogno per mandare una base di pianoforte pre-registrata che accompagni il proprio strumento, in modo da sostenere armonicamente le loro performances melodiche; è quindi proprio grazie all’utilizzo per nulla invasivo di un impiantino di amplificazione che essi sono in grado di eseguire in strada, da soli, un brano magari dolcissimo di musica classica.

Si trattava di un provvedimento figlio di una grande ignoranza culturale di base, inconcepibile in una persona che occupa il ruolo di assessore alla cultura di una città come Roma, capitale mondiale di cultura. Va detto anche che le soluzioni a cui Gasperini aveva pensato non erano solo vessatorie nei confronti dell’arte di strada, ma perfino controproducenti rispetto alle problematiche dell’ordine pubblico, in quanto avrebbero drasticamente ridotto la dignità e la serenità del lavoro in strada degli artisti, favorendo quindi uno stato di difficoltà e di competitività tra artisti talmente alto da rendere inevitabile un forte appiattimento del livello della proposta artistica ed un conseguente peggioramento in senso caotico della situazione.

Va detto che un artista di valore deve per prima cosa proteggere la propria arte, il proprio spettacolo, e ha quindi tutto l’interesse a sviluppare nel proprio luogo di lavoro un ambiente sereno ed ordinato, che favorisca il godimento dell’arte, e normalmente lo fa proprio osservando e promuovendo, anche tra i colleghi, il buon senso e l’attenzione necessari per una convivenza positiva tra tutti, nel rispetto sia dei residenti e dei commercianti, sia degli altri artisti stessi.

Quindi iniziammo subito a riunirci per capire insieme cosa fare.

I giornali erano stati letti da molti artisti di strada e la prima riunione fu subito piena di persone: c'erano artisti di ogni tipologia, statue viventi, circensi, acrobati, pagliacci, giocolieri, alcuni in rappresentanza della scuola di giocoleria di Roma (una realtà molto viva che organizza corsi e raduni periodici), c'erano ovviamente i buskers romani, tra i quali questa volta anche alcuni di Piazza Navona, che non avevano partecipato agli incontri per la delibera del 2000, ed anche i musicisti rom di Campo de' fiori e Santa Maria in Trastevere. C'era perfino l'ultimo Pasquino romano, ottuagenario, che ancora affiggeva ai monumenti i suoi sferzanti poemi satirici scritti su dei foglietti. Per prima cosa decidemmo di telefonare all’allora Presidente della F.N.A.S. Gigi Russo, per richiamare la Federazione alle proprie responsabilità istituzionali, troppo spesso dimenticate: gli chiedemmo di intervenire immediatamente presso il Comune di Roma per avere chiarimenti sul progetto di Gasperini, e per ribadire la necessità di continuare a riconoscere il valore culturale e sociale dell’arte di strada a cappello a Roma.

Così Gasperini ha dato alla F.N.A.S. un appuntamento per parlare della questione, assicurando la propria disponibilità ad analizzare insieme, punto per punto, tutti gli articoli della sua proposta di delibera, anche al fine di trovare soluzioni alternative; di fatto è partita così una trattativa ufficiale tra il Comune di Roma e i rappresentanti dell’arte di strada. Per una trattativa pienamente legittimata, però, oltre alla F.N.A.S., che costituiva una rappresentanza dell’arte di strada riconosciuta ufficialmente a livello nazionale, serviva anche e soprattutto una rappresentanza di tipo analogo a livello locale.

Fu così che decidemmo di rimettere in piedi il C.O.R.A.S., che venne costituito legalmente come Associazione Culturale, modificandone il nome in Coo.R.A.S., con due “o”, giusto per differenziarlo nella continuità dalla precedente esperienza. All’atto di ricostituzione del Coordinamento Romano Artisti di Strada, i soci fondatori furono oltre cinquanta, tutti artisti di strada in attività nel territorio romano. Io, con mio grande onore, venni eletto vicepresidente.

Inizialmente, per valutare la reale disponibilità nei nostri confronti da parte di Gasperini, si decise di andare al primo incontro ponendo quattro condizioni sine qua non per la nostra partecipazione alla trattativa:

- no ai divieti che riguardano intere categorie di strumenti musicali e apparecchiature, di cui va invece penalizzato solo l’eventuale uso scorretto che se ne fa;

- no alla costituzione di un registro e tantomeno di un albo;

- no alla scrittura di una nuova delibera, ma disponibilità piena, invece, a ridiscutere e modificare la delibera del 2000;

- chiedevamo anche l’istituzione, sia per questa riscrittura sia per il futuro, di un tavolo permanente di confronto in grado di individuare i problemi reali e trovare soluzioni efficaci, a cui avrebbero dovuto prendere parte tutte le principali componenti coinvolte, e quindi, oltre al Comune di Roma e ai rappresentanti degli artisti di strada nazionali e locali, anche i rappresentanti dei residenti e dei commercianti del centro storico, degli operatori del turismo, e, soprattutto, della polizia municipale.

In quel primo incontro Gasperini si mostrò molto interessato ad iniziare un lavoro comune per la scrittura di una nuova delibera, si dichiarò felice di potere lavorare insieme per valorizzare l’arte di strada e risolvere al contempo anche i problemi che essa pone; ci promise inoltre la sua piena disponibilità all’apertura di piazze che negli anni erano sempre state off-limits per noi, come Piazza di Spagna e Piazza della Borsa, piazze meravigliose, con un gran passaggio di gente ed un’acustica perfetta, oltre che la possibilità di aprire all’arte di strada luoghi attualmente invasi dalle automobili.

Riguardo alle condizioni che ponevamo si rese disponibile ad accettare le nostre obiezioni sul fatto di vietare intere categorie di strumenti e di istituire un albo o un registro, ma negò la nostra richiesta di limitarci a modificare la delibera del 2000, dicendo che era necessario voltare pagina rispetto alla precedente delibera, che l’opinione pubblica aveva ormai associato al caos, anche per mettere a tacere le proteste di residenti e commercianti del Centro Storico. Infine, negava la nostra richiesta di istituire un tavolo di confronto fra tutte le componenti coinvolte nel problema, attraverso cui individuare i problemi reali e trovare le soluzioni: questo perché – a suo dire – i tempi erano molto stretti e la nuova delibera doveva essere votata prima dell’estate successiva, e non c’era il tempo di iniziare un confronto così difficile tra parti interessate al momento molto distanti tra loro.

Dopo quel primo incontro ci fu tra noi artisti romani una lunga discussione su cosa fosse meglio fare, se continuare comunque quella trattativa o se, visto che Gasperini non aveva accolto tutte le nostre condizioni, era il caso di mettersi di traverso a quel progetto di delibera, iniziando un periodo di manifestazioni e battaglie. Si decise di continuare comunque la trattativa, dando fiducia a quell’uomo politico e alle sue apparenti buone intenzioni e promesse.

Oggi posso dire che è stato un grande, anzi grandissimo errore. In realtà eravamo stimolati da quella scommessa, dal lavoro che potevamo fare per migliorare l’arte di strada attraverso un nuovo regolamento. E fu un lavoro molto articolato e complesso.

Iniziammo un censimento dei tipi diversi di spettacolo operanti in strada – buskers con e senza amplificazione, circensi, fachiri, statue, mimi, teatranti, ecc. – cercando di differenziarli per categorie e tipologie in base alle diverse modalità di relazione con il pubblico, con il tempo e con lo spazio circostante. Individuammo quindi una differenza fondamentale tra gli spettacoli che lavorano con il cerchio e quelli che lavorano invece con il passaggio della gente, e ne individuammo i relativi e differenti limiti di tempo e di spazio, fondamentali per comprendere quali possano essere, nelle diverse tipologie, le modalità di alternanza e turnazione tra artisti; ci rendemmo conto poi che i posteggiatori, ossia coloro che suonano per la gente seduta ai tavolini esterni di bar e ristoranti (le cosiddette “terrazze”), sono una categoria a parte, ai limiti dell’arte di strada, che necessitava quindi di parametri completamente differenti e iniziammo a studiare le problematiche relative alle difficili interazioni che intercorrono tra questi e gli artisti che lavorano invece in piazza con il cerchio.

Non senza polemiche e difficoltà, individuammo delle norme di comportamento che tutti gli artisti avrebbero dovuto rispettare, tra cui ricordo:

- l’impegno a non fare pubblicità e a non offendere nessuno durante gli spettacoli, tantomeno le fedi religiose;

- l’impegno a non sovrapporsi mai acusticamente ad un altro spettacolo già iniziato;

- varie norme di sicurezza doverose soprattutto a chi fa fachirismo ed usa il fuoco, indicando anche quali sono i combustibili accettabili;

- il divieto di usare vernici e materiali indelebili per i madonnari;

- il divieto di coinvolgere animali e minori dentro gli spettacoli, a meno che non si rispettino alcune norme particolari, impostando la loro partecipazione sul gioco;

- per distinguere chi fa arte da chi fa questua, stabilimmo la norma che un artista che lavora a passaggio non deve mai tendere il cappello verso la gente che passa (ossia quello che in gergo si chiama “scollettare”), in quanto l’offerta deve essere data liberamente dal passante, senza nessuna forzatura, con il cappello posto rigorosamente a terra; diversamente, dentro lo spettacolo a cerchio, l’artista, se lo ritiene utile, può tendere il cappello verso gli spettatori anche facendo un giro, ma solo dopo aver mostrato loro la propria arte; e lo stesso vale per i posteggiatori.

Collaborammo con Legambiente a fare dei rilevamenti dell’impatto acustico degli spettacoli, anche in relazione a quello generale della città, e ragionammo sulle soluzioni possibili per disciplinare questo aspetto fondamentale, stabilendo che la rilevazione dell’intensità sonora andava eventualmente fatta non nel punto di emissione ma in quello di eventuale disturbo, ossia una finestra, la vetrina di un negozio, questo perché ogni luogo ha una propria dimensione acustica e la stessa emissione sonora provoca un disturbo ben diverso in luoghi differenti.

Facemmo poi un lungo e particolareggiato lavoro di mappatura di tutto il centro storico di Roma, segnando con colori diversi le piazze e le strade a seconda se erano adatte a un certo tipo di spettacolo piuttosto che ad un altro, se presentavano problematiche di impatto sonoro o meno, indicando quali sono i luoghi “critici” (Piazza Navona, Campo de’ Fiori, via della Lungaretta, Piazza di Santa Maria in Trastevere, Via del Corso) in cui c’è un evidente sovraffollamento di spettacoli e situazioni, dove quindi era necessario trovare soluzioni particolareggiate.

Gasperini ci fece anche delle proposte elaborate da lui: per esempio in ognuna delle piazze e strade critiche intendeva stabilire più “postoni”, ossia dei posti di spettacolo precisi, indicati con delle mappe sulla delibera, che andavano alternati in modo che non ci fossero mai due spettacoli di fila nello stesso punto, questo per non sovraccaricare di stress i residenti e i commercianti, e lasciare delle pause di silenzio; questa idea a noi andava anche bene, in linea di massima, e si discusse nel dettaglio, per ogni singolo luogo critico, di come posizionare e turnare i postoni.

Si discusse anche della proposta della F.N.A.S. di risolvere queste alternanze mediante un software che gestisse via web le turnazioni attraverso un meccanismo di prenotazione.

All'epoca non era mai successo di lavorare così dettagliatamente su un regolamento dell’arte di strada, di andare così in profondità nello studio delle problematiche e nell’ideazione di soluzioni, e questo ci stimolava tantissimo. Era però un lavoro molto duro, perché il mondo dell’arte di strada ha tantissime realtà e noi, indicando soluzioni che avrebbero condizionato la vita e il lavoro di tutti, volevamo anche rispettare tutti, sia gli iscritti sia i non iscritti al CooRAS; per questo ogni volta che elaboravamo le proposte durante le assemblee o con le mailing list, tramite alcune persone “strategiche” del CooRAS cercavamo di farne arrivare notizia anche a quegli artisti che non partecipavano al coordinamento per capire se andavamo a determinare criticità nei loro confronti, poi le presentavamo in riunione a Gasperini, e quindi dovevamo discutere di nuovo le sue eventuali controproposte. In finale eravamo noi che andavamo a parlare con Gasperini, quelli che “ci mettevano la faccia”, ossia che dovevano trasmettere agli altri se era il caso o meno di continuare la trattativa, di “fidarsi”, comunicando le intenzioni dell’Assessore al mondo degli artisti di strada romani. In qualche modo, a prescindere dal CooRAS che ci legittimava, ci muovevamo stretti in una morsa tra l’Assessore alla Cultura e gli altri artisti, che spesso su alcuni punti delicati s’irritavano e improvvisamente ci attaccavano in furenti polemiche che esplodevano e sembravano diffondersi nell’ambiente per poi, grazie ad un lungo e paziente lavoro di ricucitura, rientrare.

In questo feed-back continuo e faticoso, a volte si ricominciava tutto d’accapo, in quanto Gasperini periodicamente faceva rispuntare alcune proposte che erano già state scartate da noi; questo avveniva perché contemporaneamente, e senza darcene conto, lui portava avanti la trattativa anche con le altre categorie, in particolare le associazioni dei residenti e dei commercianti del centro storico. Di fatto non riuscimmo a valutare bene la faccenda, anche perché le nostre scelte erano il frutto di un confronto serrato con oltre cinquanta persone, con tante teste differenti tra loro. Il fatto che giocasse su più fronti contemporaneamente rendeva ai nostri occhi Gasperini un rebus, e avevamo dei problemi a fidarci di tutte le rassicurazioni e le promesse, anche allettanti, che continuamente ci metteva davanti.

Tutti insieme decidemmo di dare fiducia all’uomo Gasperini, prestammo fede alle promesse che ci faceva, lasciando che facesse come meglio credeva il lavoro politico con le altre componenti. Da parte nostra, il lavoro coinvolgeva tutti coloro che partecipavano attivamente al CooRAS. Ci eravamo divisi in commissioni: c’era la commissione per la mappatura del centro storico, quella per il sito web e la mailing list, quella per i rapporti con la stampa, quella per l’organizzazione di eventi, e quella che doveva andare a parlare con Gasperini, che poi eravamo il gruppo direttivo dell’associazione più alcuni soci “anziani”. Le polemiche non mancavano tra chi non si fidava di Gasperini o addirittura non si fidava di noi, ma, ripeto, noi ci mettevamo la faccia.

 

(continua)

 

 

(Tratto da Storia di un cantastorie a cura di Maria Lanciotti, II edizione aggiornata dicembre 2018 – Edizioni Controluce)


Foto allegate

Manifestazione di AMI a Piazza Vittorio, 2000
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