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Remo Valsecchi. Azione di classe della Valtellina: La sentenza del TAR
09 Agosto 2018
 

Qualche giorno fa è stata notificata la sentenza del TAR Lombardia che rigettava il ricorso presentato da Confconsumatori, in nome e per conto di parecchi cittadini valtellinesi, per una questione di forma e non di merito.

Personalmente, avendo redatto la perizia, di merito, che accompagnava il ricorso, mi sento, quasi, di ringraziare il TAR perché, dopo il deposito del ricorso, l'Autorità, ha emanato più deliberazioni, nel settembre 2017 e nei primi mesi del 2018, che offrono alcuni spunti per rafforzare le tesi dei cittadini-utenti.

Purtroppo il periodo agostano non consente un confronto con i legali che hanno patrocinato l'azione e, solo i primi giorni di settembre, sarà possibile un approfondimento e chiarimento. Non è un grosso problema poiché nel mese di agosto scatta la sospensione dei termini, e l'eventuale opposizione alla sentenza potrà essere proposto entro 60gg dal 31/08 e, quindi, entro il 30/10. C'è tutto il tempo necessario.

Però non ci si può esimere da qualche considerazione, non sulla sentenza perché è una questione tecnica sulla quale solo i legali potranno esprimersi.

Se l'Ufficio d'Ambito diffonde, immediatamente, un comunicato stampa che termina con «La sentenza, avversa ai ricorrenti, costituisce l’ultimo atto della c.d. “class action” o “azione di classe pubblica” iniziata diversi anni fa», dimenticando o ignorando che dopo il TAR, esistono, ancora due gradi di giudizio cui ricorrere, salvo che voglia impedirlo, incorre in nuovo errore. Siamo, comunque, abituati agli errori, più o meno voluti dell'Ufficio d'Ambito.

La preoccupazione maggiore, però, è il tono utilizzato da un ente pubblico, e non privato. Non è accettabile chiamare “ricorrenti”, anche se è un termine tecnico giuridico, i cittadini che non sono degli estranei ma coloro, che hanno conferito un mandato per la gestione del territorio e dei servizi nel loro interesse, anche all'Ufficio d'Ambito, pur nominato da un ente, la Provincia, a sua volta nominata dai Consiglieri comunali eletti direttamente dai cittadini.

La triste realtà è che tutte queste istituzioni sono diventate organismi autoreferenziali a chi, in un preciso momento, è demandato a governarle. La gente, i cittadini, sono diventati solo soggetti esterni che infastidiscono con le loro lamentele. In un sistema socio-politico normale una sentenza “avversa”, che nel caso specifico non è tale, dovrebbe preoccupare gli enti pubblici locali perché una class-action, e un ricorso al TAR, sono comunque sintomo di un disagio e di una sensazione di ingiustizia.

Perché non è una sentenza avversa? Semplicemente perché il TAR non ha fatto valutazioni di merito. Quando la sentenza afferma che il «ricorso proposto va dichiarato inammissibile, restando così assorbita ogni ulteriore questione», specifica proprio, assorbendolo, che il merito non è nemmeno stato considerato. Il fatto, quindi, che le lamentele dei cittadini siano illegittime, non è ancora stato sentenziato e, anche qualora il TAR decidesse in tal senso, resterebbe ancora il Consiglio di Stato e la Cassazione, eventualmente, a doversi esprimere.

Stupisce anche qualche giornale che nel sottotitolo riporta «Troppo generico ed incapace di dimostrare il danno realmente subìto dai ricorrenti» ma poi, nel testo dell'articolo, scrive «I giudici amministrativi non sono entrati nel merito delle contestazioni avanzate ritenendo che queste non fossero presentate in maniera, per così dire, corretta».

Come è possibile, se i giudici non sono entrati nel merito, che gli stessi possano affermare che le motivazioni sono generiche ed insufficienti? Non è un questione tecnica o di diritto, è solo una questione lessicale di cui i giornalisti dovrebbero essere maestri. I giornali dovrebbero fare informazione, questa non è una corretta informazione. I cittadini non sono dei clienti da trattare semplicemente secondo le regole commerciali ma degli utenti che, essendo il servizio gestito in regime di monopolio, devono essere garantiti e tutelati. Non è una mia affermazione ma un principio fissato dalla Costituzione e dalle leggi di settore.

Concludo con un assurdo irritante. I cittadini, grazie agli amministratori da loro eletti, devono spendere soldi per difendersi da quelli che ritengono soprusi mentre le istituzioni usano i soldi dei cittadini per opporsi. Praticamente, i cittadini pagano per difendersi e pagano per opporsi alle loro legittime richieste. Sarò un paranoico, ma ho l'impressione che qualcosa non funzioni. Questa, purtroppo, è la situazione oggi grazie alla politica.

 

Remo Valsecchi, cittadino


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