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Commento di Carlo Forin aggiunto il 27.02.2024
La costruzione di un'Europa unica federata richiede l'obiettivo da +Europa della cittadinanza unica delle cittadine e cittadini oggi italiani, francesi etc. negli Stati sovrani separati. A loro bisogna che ci rivolgiamo con questo solo obiettivo: volete voi essere riconosciuti europei dalla UE nella U.S.E, "Stati nell'Europa uniti", così come sono i cittadini americani negli U.S.A?
Commento di MARINA SALVADORI aggiunto il 21.02.2024
Cara Sandra, assistero' online al convegno e particolarmente venerdì.

Circa le Cappellette ho apprezzato il tuo articolo e interesse.
Le amo molto.
Nel 1986 a Santicolo in Valcamonica mio marito - diplomato all' Accademia di Belle arti di Brera in Pittura - (io le facevo da aiutante) ha dipinto una cappelletta (sacello) , come hai descritto tu.Si trovava al bordo di un terreno di proprietà di un suo parente, accanto ad un sentiero di passaggio. Gli venne chiesto di dedicarla a San Giacomo, patrono del paese.Era in cattive condizioni strutturali e senza più un' immagine. Venne restaurata con utilizzo di materiale e pietre locali.
E in prossimità dell'inizio del dipinto venne preparato il fondo per l'affresco.
(Ne conservo le foto come ricordo).
La cosa però bellissima è che la scorsa estate dopo 40 anni l'abbiamo rivista.
Il dipinto nonostante le intemperie e a 1000 metri di altezza,è rimasto inalterato ma la meraviglia è che è diventata un luogo Patrimonio del paese. E nonostante la cappelletta sia situata in un sentiero tra i campi limitrofi alle case , viene sempre arricchita di fiori dei passanti e degli abitanti, ed anche meta significativa delle Processioni !!!
Patrimonio quindi di un passato antico , recuperato per amore quasi 40 anni fa memoria viva oggi.
Piccola storia di una Cappelletta.
Un abbraccio Marina Salvadori

Commento di maria lanciotti aggiunto il 21.02.2024
TESTIMONIANZA DI RENZO NANNI, tra i superstiti della Divisione Julia:

Le Divisioni Alpine dall’ARMIR (Armata Italiana in Russia) partirono dall’Italia nel giugno 1942, convinti tutti di essere diretti al Caucaso.
Invece superiori ordini comandarono l’interruzione del viaggio a Jsjum, sul fiume Donez, e gli Alpini dovettero, senza armi e mezzi adatti alla guerra di pianura, raggiungere con lunghe marce la linea del fronte che correva sulla riva del Don.
Combattimenti di particolare violenza si ebbero nella seconda metà di dicembre, finché il 15 gennaio 1943 iniziò la ritirata, dovuta non ad uno sfondamento frontale da parte dei russi ma ad un arretramento, forse preordinato, di reparti tedeschi e, sembra, ungheresi, ai lati estremi dello schieramento italiano.
Così si formò la “sacca” e, in essa, più sacche minori, ossia accerchiamenti rapidamente effettuati da carri armati, che bloccarono i punti di passaggio obbligato lungo le poche “piste” che si snodavano sui dossi delle colline (gli avvallamenti erano troppo colmi di neve) verso occidente.
L’accerchiamento, sconvolgendo le retrovie e i Comandi superiori, tolse possibilità di collegamento e coordinamento tra Divisioni e persino tra Battaglioni, tanto che si formarono, nel costretto ripiegamento, più colonne e diversi furono gli itinerari seguiti.
Punto di passaggio d’obbligo, sulla via di Belgorod, fu per tutti Nikolajewka, al limite della grande sacca. Qui infuriarono i maggiori combattimenti, culminati in quelli leggendari del 26 gennaio.
Fuori dalla sacca, in giorni e giorni di marce per villaggi distrutti o semivuoti, la decimazione fu compiuta dal gelo, dal sonno, dalla fame, finché al termine della prima decade di febbraio può dirsi che i superstiti, raggiungendo a Belgorod la prima ferrovia funzionante, poterono contare sulla salvezza.
Poche centinaia d’uomini di contro ai quasi centomila morti.

(Nota tratta da Minuscoli su pagina bianca - Forum/Quinta Generazione, 1982 - di Renzo Nanni, fra i superstiti della leggendaria Divisione Julia, Ottavo Reggimento)


http://www.tellusfolio.it/index.php?comandoindex=commento&valcommento=1&did=24789

Articolo di riferimento : Sergio Caivano. La ritirata di Russia
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Commento di Carlo Forin aggiunto il 19.02.2024
La lingua italiana ha il limite di non usare la lettera Y tradotta sempre con I.
Y, come rivela la forma grafica, simboleggia l'archetipo antico DA DUE UNO, traducibile dal I millennio a.C., nel moderno DA UNO DUE.
La lingua russa è una lingua che mantiene la Y.
La bionda moglie dell'ammazzato Aleksej Navaln'nyj, Julija Navaln'naja, ha dichiarato che continuerà l'opera rivoluzionaria del marito.
Il confronto dei suffissi: nyj, naja rivela: y = aia.
AIA è la moglie-paredra di SHA-M- ASH= "che venga, -m-, l'Uno d'origine nell'utero, babilonese.
Lode all'ammazzato da Putin. Auguri a Navaln'naja.
Articolo di riferimento : Carlo Forin. Dalila|Io sono in gioia nel piacere che accompagna
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Commento di Carlo Forin aggiunto il 19.02.2024
Con altra sillabazione, e-nig-mah = "cose troppe in casa". A me questa decifrazione piace molto di più.
Anche il nome di Abramo, Ab -ra- am, dal centro = "inondazione
viene col nome del Padre (Ab- ba).
Articolo di riferimento : Carlo Forin. La mia idea sull’enigma
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Commento di Carlo Forin aggiunto il 19.02.2024
Sinner ha vinto a Rotterdam ed è diventato il n. 3 del mondo. Mai un italiano è arrivato tanto in alto; e a 22 anni! C'è tempo per salire ancora!
Articolo di riferimento : Carlo Forin. Coppa Davis 2023 a Italia
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Commento di Valentina Cosimati aggiunto il 19.02.2024
Il Fondo Pizzigoni è uno scrigno di colori e suggestioni in cui la fantasia pedagogica si libera in un dialogo colorato e gioioso tra passato, presente e futuro.
Il convegno sarà un modo per conoscere e discutere di innovazione e tradizione, di comprensione e sensibilità contemporanee, innalzandosi ad altezza di bambina e di bambino.
Commento di Eugenio Fortunato aggiunto il 16.02.2024
Questo articolo, per di più, diventa un invito a compiere una comparazione tra le Cappellette votive della Costiera dei Cech e i crocifissi di ferro presenti nelle strade della campagna flumerese (piccolo paese immerso nella verde Irpinia - prov. di Avellino - da cui provengo). Anzitutto, ciò che le accomuna è l'ubicazione nelle strade di campagna. Le edicole votive, come le croci stradali a cui faccio riferimento, sono considerate come autentica espressione della spiritualità religiosa del mondo contadino di un tempo passato.
Ancora oggi subisco il fascino di queste croci stradali poste agli incroci e ogni volta che vi faccio ritorno, mentre percorro a piedi le strade delle campagne di Flumeri (AV). Mentre scrivo questa comparazione il pensiero mi riporta ai racconti ascoltati dagli anziani e alle spiegazioni ricevute da bambino dal parroco emerito del mio paese, ormai defunto, don Peppino Diluiso.
Ricordo ancora la loro voce che nutriva il "bisogno di magia" tipico dell'età infantile e il modo pacato del sacerdote flumerese di rispondere alle mie domande e alimentare/educare il c.d. "sentimento religioso". Stando ai racconti ascoltati da alcuni contadini del mio paese l'origine di questi elementi minori di architettura religiosa nasce per allontanare le presenze maligne che si manifestavano nelle strade di campagna all'imbrunire, nel nostro paese erano chiamate "malecose". L'incrocio è il luogo in cui la gente del passato raccontava di aver incontrato queste presenze che prendevano forma nel buio e che incutevano timore per il loro aspetto. Per tali ragioni venivano deposti i crocifissi agli incroci: chiunque passava faceva il segno della croce ed era protetto da Cristo.
Il parroco, invece, ricordava l'influenza della superstizione e l'ingenuità del popolo contadino del passato come fattori che hanno sicuramente incentivato la pratica di ubicare croci nelle strade di campagne. Altresì, queste croci sono sorte anche come ricordo di alcune missioni popolari.
Due territori distanti si sono incrociati in questo articolo.
Commento di Eugenio Fortunato aggiunto il 16.02.2024
Ancora una volta le iniziative di valorizzazione e riconnessione con la natura e il territorio da parte di Sandra Chistolini pungolano l\'attenzione dei lettori di tellusfolio.it e di tutte le persone che come me hanno modo di conoscerla e apprezzarla per la sua sensibilità (umana e professionale) e creatività.
In questo articolo la professoressa consegna ai lettori i suoi ricordi d\'infanzia che si intrecciano alla devozione popolare, al significato metaforico del \"cammino\" (esistenziale, civico e educativo) e al bisogno di ciascuno di impegnarsi per custodire e valorizzare le Cappellette votive immerse nel verde: piccole strutture architettoniche religiose cristiane disseminate nei Comuni della Costiera dei Cech in Valtellina considerati come patrimonio comunitario da custodire.
La devozione popolare presente in questi segni tangibili (le Cappellette votive) descritti dalla prof.ssa Chistolini rimanda a un impegno etico-educativo capace di avvicinare generazioni e istituzioni che -come una macchina di cambiamento- scoprono, tutelano, valorizzano e riconnettono la comunità al territorio e al patrimonio culturale in esso racchiuso.
L\'attenzione della Chistolini e del gruppo dal nome “Ciò che è stato è parte di noi” alle Cappellette votive dimostra l\'efficacia di questo impegno civico e educativo capace di avvicinare ogni membro di una comunità. Altresì, il suo impatto sociale e educativo riesce a mettere in evidenza l\'importanza di custodire e rivalutare \"l\'insieme di beni culturali e paesaggistici, che costituiscono la ricchezza di un luogo e della relativa popolazione\". In parole diverse, l\'Associazione per la diffusione del Fondo Pizzigoni E.T.S. e il gruppo “Ciò che è stato è parte di noi” dimostrano con i fatti di essere \"in cammino\" in senso civico, educativo e spirituale invitando tutti a contribuire, fare qualcosa per tutelare, valorizzare un patrimonio che nasce dal culto popolare.
Commento di Carlo Forin aggiunto il 15.02.2024
Cara Sandra, ti voglio bene! Io, ho elaborato una iniziativa simile. Fresco da un coma, 33 anni fa camminai ogni giorno attorno al colle, alto 491 metri, vicino a casa mia, al centro di Vittorio Veneto, una cittadina di meno di 30.000 abitanti, in provincia di Treviso. Dall'archivio storico della biblioteca del Comune, scoprii che il colle si era chiamato: Monte de Antares e colo maledicto. In breve, ho segnalato al Comune la necessità di creare un Parco archeologico fatto di sentieri cartellati attorno al Colle ed ho proposto un progetto. La Lega, che governava la cittadina, mise il progetto in un cassetto. Non domo, mi occupai della stella-teonimo ANTARES, ed ho sviluppato l'archeologia del linguaggio. Adesso, sto scrivendo "Il libro ANTARES", con la narrazione: le lingue moderne discendono dal greco-latino, come si sa, e queste discendono dal zumero+accado, come nessuno sa ancora, causa il positivismo, l'esperienza storica ancora in atto, che instupidisce saggi e popolani. Convincere tutti che sono linguisticamente confusi è affar serio; ma fin che vivo non smetterò di cercare di convincere. Tu hai sviluppato le Cappellette votive. Brava!


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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