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   03-09-2009
Il reato e il peccato

Reato e peccato rappresentano due modi di offendere la legge; bisogna, però, distinguere la legge della Chiesa, che amministra i peccati e quella dello Stato laico, che amministra i reati.
Non è possibile, nè lecito, confondere i due comportamenti, essendo il primo a carattere confessionale e il secondo a carattere laico e sociale

La polemica circa l’esigenza di sostenere le ragioni di Benedetto XVI, contro le critiche che da più parti vengono sollevate, non tiene conto della radice del problema che necessita di una visione più approfondita e non certo arricchita da motivazioni arbitrarie o da velleitari esibizionismi con sfondi lontanissimi da una veritiera esigenza di sostegno al Pontefice.
Le azioni e gli atti estranei ad una lettura “ex cathedra” , anche se dette o fatte dallo stesso Pontefice possono e devono essere oggetto di dibattito, di critica, o anche di interpretazione diversa da quella originale, in quanto lo spirito della fede non può restare prigioniero del dovere di una obbedienza acritica, che finirebbe con l’allontanare dalla fonte della fede, più che sancire una continuità non condivisa.
Il problema alla base inizia con la confusione che si vuole ingenerare tra il concetto di “peccato” di pertinenza confessionale e quello di “reato” di pertinenza laica.
Non tutti gli atti intesi come peccato possono essere identificati da uno Stato laico come reato, e agire di conseguenza, comminando sanzioni o condanne.
E’ il caso delle “unioni di fatto”, non sancite dal matrimonio, considerate peccato dalla Chiesa e che si vorrebbe venissero valutate dallo Stato come reato, con azioni di conseguenza, escludendo i “peccatori” “non pregiudicati (!)” dalle provvidenze che lo Stato riconosce alle coppie non in odore di peccato.
La pretesa inoltre di voler imporre ai parlamentari cattolici di esprimere un voto non di coscienza ma di obbedienza, ci riporta indietro di secoli, ai margini della lotta per le investiture, quando sorse il problema del potere temporale dei vescovi-conti, se dovevano riconoscere il primato di autorità al Papa in quanto vescovi o all’imperatore in quanto conti.
Così oggi si ripropone il dilemma se il parlamentare cattolico deve obbedienza al Papa in quanto cattolico o alla Costituzione in quanto parlamentare.
Tutto ciò è e deve essere argomento di un dibattito estraneo allo spirito confessionale di parte, dovendosi tutelare, paritariamente, tutti i cittadini, qualunque sia la religione, la razza, la fede o anche solo le temporanee esigenze.
Ben diversa è la circostanza del reato per lo Stato, quando viene assunto come peccato dalla Chiesa che avoca a se stessa l’onere del giudizio.
E’ il caso della pedofilia esercitata dai sacerdoti, che è indubbiamente un reato perseguibile penalmente, con i rigori della legge; ma in questa circostanza una discutibilissima lettera riservata, indirizzata «a tutti i patriarchi, arcivescovi, vescovi e altri ordinari del luogo, anche di rito orientale», del 1962 dal titolo “Crimen sollecitationis” (Delitto di adescamento), redatto dal card. Alfredo Ottaviani, parzialmente riveduta nel 2001 dalla Congregazione per la dottrina della fede, con la lettera “De delictis gravioribus”, dall’allora cardinale Ratzinger, riduce il reato a peccato da amministrare all’interno della Chiesa, con i modi che riterrà opportuno, mortificando i diritti delle vittime, all’interno di un tribunale esclusivamente ecclesiastico, obbligato, peraltro, con giuramento, ad una segretezza che sa di omertà, con la seguente formula:
“Perciò tutti coloro che a vario titolo entrano a far parte del tribunale o che per il compito che svolgono siano ammessi a venire a conoscenza dei fatti sono strettamente tenuti al più stretto segreto (il cosiddetto "segreto del Sant'Uffizio"), su ogni cosa appresa e con chiunque, pena la scomunica “latae sententiae”, per il fatto stesso di aver violato il segreto (senza cioè bisogno di una qualche dichiarazione NdT); tale scomunica è riservata unicamente al sommo pontefice, escludendo dunque anche la Penitenzieria Apostolica. [ossia: tale scomunica può essere ritirata solamente dal papa, NdT] “.

La critica diventa doverosa per la palese alterazione del rapporto tra diritti e doveri, che devono essere sempre uguali per tutti, altrimenti la stessa base fondamentale della vita civile verrebbe negativamente alterata.
Il dibattito è iniziato da tempo, facilitato dai mezzi moderni, perché si tratta di problemi attuali che necessitano di chiarimenti idonei alle attese; ma si sono inseriti, abusivamente, taluni personaggi che in questo dibattito hanno voluto trovare l’occasione per esibirsi quali difensori della persona del Pontefice, trasformando un dibattito interno al mondo dei fedeli, in una polemica con personalissimi interessi di esibizione politica, per cercare approvazione all’interno di un panorama che non appartiene loro, questi ultimi non servono la Chiesa ma aspirano a servirsene.



Rosario Amico Roxas   
 
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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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