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Marco Cipollini: Piero o Leonardo
 
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   30-06-2008
E' difficile non concordare. Si tratta in pratica di ristabilire i livelli della cultura, separando ciò che ha una funzione trasferibile (e conservabile) da ciò che si usa, ciò che si trasferisce per elaborazione da ciò che si trasferisce per tradizione; tradizione che nella società preindustriale era fondata su valori condivisi perché necessari alla vita del gruppo o della comunità, in quella attuale prende le forme della moda, statisticamente: ciò che è più utilizzato o frequentato in un determinato territorio in un tempo definito. Gli sviluppi della cultura americana, che Umberto Eco aveva analizzato con occhi europei fino dagli anni '70 del secolo scorso, apparivano già all'epoca emblematici. Nella foga di recuperare una cultura alta inesistente in un territorio giovane come quello degli USA, gli Americani hanno costituito città false, sul modello di..., hanno creato appositamente musei e poi li hanno riempiti di imitazioni dei capolavori dell'arte europea quando non fosse stato possibile, alla stregua del Getty Museum, accaparrarsi di riffa o di raffa le opere originali. Noi europei abbiamo alle spalle diversi millenni di cultura alta, ma soffriamo da una parte di una crisi di indentità che ci porta a non riconoscere come nostro ciò che ci appartiene per diritto ereditario. A questa si somma una sorta di analfabetismo di ritorno, che impedisce a buona parte dei nostri connazionali di comprendere il valore linguistico - cioè di comunicazione - di quella eredità. Sempre riferendosi alla cultura pop degli anni '70, Eco lanciava la provocazione di sostituire le opere originali nelle nostre gallerie con copie manuali o fotografiche (che costano meno), perché nessuno se ne sarebbe accorto, dal momento che il consumo di massa non è interessato alla qualità, all'ampiezza o alla profondità della comunicazione - è il solito problema di linguaggio - di cui un'opera è capace all'interno di una funzione duratura (ciò che passa da una generazione all'altra), ma solo al consumo in quanto tale. Ed è normale che madonna del Giocondo sia "lisa" più di altre madonne (non importa se laiche o profane) per il semplice fatto che ha goduto e gode di casse di risonanza mediatiche più ampie, in una realtà come la nostra in cui l'esistenza è negata a chi non ha esistenza mediatica. Quanti, pur avendolo visto, hanno presente davanti agli occhi il sepolcro di Giovanni Chellini del Rossellino nella chiesa di San Domenico a San Miniato? O la Madonna di Duccio nel museo di Asciano? la Madonna della gattaiola a Montemerano? La gente ci passa davanti, "ah, guarda ci ha il buco" e il buco è quanto resta nella memoria del turista che è stato a fare il pieno di pappardelle col cignale da Caino, stelle, cucchiai e cappelli sulle diverse guide gastronomiche. Ma quell'incarnato di madreperla, iridescente dai riflessi da rosa a verde pallido, e quello sguardo dolcissimo insieme impaurito e rapito dall'apparizione dell'angelo annunciante, quanti sono in grado di ricordarli e amarli. Quando ero bambino, fra' Pietro, lo zoccolante di San Domenico, mi faceva spolverare ogni tanto il sepolcro del Chellini. Io ci passavo sopra il piumino e il pennello, e poi accarezzavo il viso scarno e il naso scheggiato, come fosse quello della mia nonna Giovannina quando - avevo cinque anni - una mattina la trovai morta nel letto. Quella scultura, che è stata una delle sorgenti del mio amore per l'arte, adesso l'hanno recintata con un cordone rosso e posso guardarla solo da tre metri di distanza come un qualsiasi turista distratto. Tra quanto tempo dovrò pagare anche il biglietto? La stupidità di chi ama solo il transitorio e le tinte di superficie, mi interdice l'amore di una vita.
rossano nistri "strini"   
 
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