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Francesco Giubilei: Hanno ucciso Pulcinella
 
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   09-03-2008
Napoli, «una fossa dove seppellire incapacità, collusione, corruzione e nefandezze varie»?
Mi viene in mente il "pozzo di Gravina", dove sono stati ritrovati i resti dei corpi di Francesco e Salvatore Pappalardo. Una disgrazia? No! Perché anche se questi due poveri ragazzini se la sono procurati da loro, non lo è a causa di una società che è ancora improntata alla "verticalità" e poco alla "orizzontalità", dove tutti hanno uguali diritti e doveri. A cominciare dal loro padre nel quale ha prevalso la severità intimorendo a tal punto i due figlioli da indurli a scappare di casa. Forse era questo il primo impulso dei due posti come allo sbaraglio, che poi sarebbe rientrato e avrebbero fatto ritorno dal padre, ma avvenne l'imprevisto e fu la loro fine tremenda. Resta però la severità del padre che si mostrava incapace della benevolenza materna a loro preclusa "forzatamente".
Così è ora Napoli della monnezza, Napoli di Pulcinella: come Ciccio e Salvatore finiti tragicamente nella fossa della vergogna. Ed allora si può mai far pesare la colpa dell'infamia mediatica, oggi imperversante anche all'estero, solamente su Napoli?
No, perché c'è un'Italia falsamente paterna che soffoca l'altra ancora da crescere, o forse eternamente all'insegna di un certo "Peter Pan" per destino, che tanto porta alla storiella dell'asino finito nel pozzo e dello stolto padrone-contadino.
Sappiamo che questi, non riuscendo a trarlo in salvo e talmente infastidito dai suoi ragli provenienti dal fondo del pozzo, decise di lasciarlo morire e così si diede da fare per riversare terra su di lui. Ma finì che nella sua animalità, l'asino, scansando la terra che pioveva su di lui, trovò modo di di emergere e, ironia della sorte, fu grato al suo padrone per avergli salvato la vita.
Ecco, la storia della nostra strana Italia è passata più volte per analoghe disavventure finite poi a lieto fine e con falsi meriti. Si potrebbe pensare allora che l'Italia sarà sempre composta da "padroni" ed "asini", ovvero dal cosiddetto Nord e Sud? Beh, se così fosse nulla di tanto cattivo, almeno fin quando l'uno rispetta l'altro e così se ne giova (e questo vale anche per l'asino che si salva, come si è visto, in modo controverso). Ma è chiaramente una croce che pesa su entrambi e che saggiamente non può essere posta, per comodità, solo su Pulcinella, ritornando a Napoli della monnezza, ovvero sull'asino del racconto. Tanto più che si tratta di un "asino d'oro", visto che Pulcinella è riconosciuto «la splendida geniale maschera» dei napoletani. Ma è una cosa che farebbe bene anche quelli Nord per giovarsi della peculiare "ironia e capacità di ogni soluzione" che vi si riconosce.
La monnezza di Napoli in questione mi porta al mito di Eracle chiamato per la sesta impresa su ordine di Euristeo.

Come si sa Eracle dovette trovare il modo di far pulizia nelle stalle di Augia a causa del bestiame che cresceva indefinitivamente perché resi immuni dalle malattie. Ma prima di apprestarsi a fare il miracolo in un solo giorno, per scommessa Eracle chiese al re Augia in cambio un decimo di tutto il suo bestiame. E così l'eroe mitico, senza sporcarsi, escogitò la deviazione dei vicini fiumi Alfeo e Peneo, che con l'irruenza delle loro acque spazzarono via lo sterco ovunque si trovasse.
Ma il re Augia che non si aspettava questa sorta di bravata, preso dal livore per l'inganno non volle mantenere la parola e così rendere ad Eracle la ricompensa suddetta.

Il seguito di questa storia del mito è piuttosto avvolto in una nebulosa, quasi a rimandarla nel futuro...

Forse a oggi. Forse alla Napoli ripiena di Monnezza fino agli ancora "pascoli casertani" per antonomasia «Terra di lavoro».

Ma mi domando perplesso, che potrebbe farebbe l'Eracle di questa generazione, di una certa sorta di "bestiame" preso a rilasciare la personale "monnezza"? Già, perché egli non avrà certo dimenticato la beffa subita in seguito al suo intervento nel passato mitico, che pur dovette fare, per capirne l'inutilità. Questa volta poi non è solo un "re Augia" a farsi bello e mortificare l'eventuale nuovo Ercole capace di fare il miracolo per la ex bella Napoli, ora inzaccherata nella monnezza. Come si fa a mettere la museruola ai suoi eredi che non si contano e che sono frammischiati nello stesso "bestiame" produttore di monnezza?

Come si vede non sembra proprio che ci sia via di uscita, salvo a stimare una cosa buona che il buon napoletano, quello della povertà, è simile a quel mitico bestiame della sesta fatica di Eracle. Questo per dire che almeno questi miseri napoletani sono immuni alle possibili contaminazioni della monnezza e sopravviveranno.

Dove il guaio sulla "monnezza" di Napoli dunque? Senza dubbio in quel 10 per cento antico su cui si accendono, negli occulti olimpi d'oggi, le lotte per l'appannaggio sull'oro alchemico derivante dalla "monnezza".

Ma, a lungo andare, potrebbe anche indisporsi l'immunità mitica sul "bestiame olimpico" in discussione, e come accadde con l'epidemia milanese raccontata da Manzoni nei «Promessi Sposi», fu così che anche l'irriducibile e malvagio «Don Rodrigo» fu messo in fuori gioco.


Gaetano Barbella
gaetano barbella   
 
   09-03-2008
Montreal
Bravo Giubilei!
Pulcinella non e morto:ma puo morire!
Marco Rossi   
 
| 1 |
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