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Alessandra Borsetti Venier: Le "palle" di Natale.
 
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   01-01-2008
Cara Laura, il racconto è davvero molto ma molto divertente! Avevo già in mente per l'anno prossimo di scrivere proprio sul fatidico pranzo di Natale. E leggendo le tue avventure penso che sarà una buona idea affrontare i rituali di preparazione del pranzo per eccellenza, compresi i vari annessi e connessi...

Alessandra Borsetti Venier   
 
   01-01-2008
Mia cara fata... ci eravamo lasciate alle 17.30 della vigilia di Natale, densa di amletici interrogativi fra i quali: "quante olive ci vanno nel cinghiale?". Oggi, sera del giorno di Natale, alle ore 19.30, quando finalmente ho messo la porta della mia amata casa fra me e il resto del mondo, posso darti la risposta: 46. Come faccio a saperlo? Iniziamo dall'inizio, come si suol dire... Alle 8.30 del giorno di Natale mi presento di nuovo a casa dei miei. Per santificare le feste era ancora necessario: preparare il brodo, fare il purè di patate, organizzare i sottolii e i sottaceti, pulire l'insalata, montare la maionese, mettere (appunto) le olive nel cinghiale e infine apparecchiare la tavola. Al mio ingresso in casa, dopo una corsa sfrenata in macchina perchè non riuscivo a trovare le chiavi e stavo facendo tardi (Freud avrebbe molto da dire...) la situazione è la seguente: mio padre - sfinito dall'essere, nell' ordine: il marito di mia madre, il cognato di mio zio e il vicino di casa di un signore che si ostina ad addobbare il gigantesco abete del suo giardino con lumini che "cantano" ginghel bell 24 ore su 24 - è a letto con giramenti di testa e vomito; mia madre ha nel frattempo deciso di fare le pulizie di Pasqua (come si sa, la concezione del tempo è un fatto relativo...) mettendo in ordine tutti gli attrezzi della cucina e vanificando quindi la dura attività di ricerca da me svolta il giorno precedente per trovare il trinciapollo, i vasetti per sottolii e sottaceti, l'insalatiera etc. etc. Bene, mi sono chiesta, esco per comprare le sigarette e non torno più? Non posso farlo, visto che ho smesso di fumare, mi sono risposta. Così ho cominciato da mio padre. Sono salita al piano di sopra (la casa dei miei genitori è su due piani, più la soffitta) e dopo avergli comunicato che secondo me non aveva l'influenza ma solo un solenne giramento di "scatole" (sinonimo del tema da te proposto per questo Natale, ma anche unica parola usabile con un ottantasettenne patriarca), sono scesa al piano di sotto e ho chiamato la guardia medica. Previo ascolto di brani ripetuti del Bolero di Ravel, ho parlato con un (credo...) medico tutt'altro che natalizio il quale mi ha comunicato che sarebbe arrivato "in giornata". Sperando che la giornata fosse quella corrispondente alla mia telefonata, sono scesa al piano di sotto per dedicarmi alla cucina e alla tavola. Quello che sto per dire non è un banale inciso, ma una dichiarazione di profondo amore e gratitudine al poeta Ovidio e alle sue Metamorfosi. E, a pensarci bene, non è solo un riconoscimento affettivo ma una vera e propria asserzione basata su fatti concreti: "Sì, gli animali, le piante, gli oggetti un tempo erano persone, creature viventi che, spesso per sciagura, si sono trasformate, conservando però i sentimenti e la consapevolezza degli umani e come tali (aggiungo io), soccorrono le creature infelici che, in questo terzo millennio senza miti e senza dei degni di questo nome, non possono, in tempo utile, mutar forma e neppure mutar continente". Ma ritorniamo a noi, o meglio alla tavola. La repentina trasformazione avvenuta nella composizione delle famiglie, che da patriarcali sono spesso divenute bi o mononucleari, ha avuto fra le tante conseguenze anche la comparsa dei cosiddetti "allunghi". Gli allunghi sono delle stecche di legno fornite di cerniere e perni che, opportunamente inserite nei loro corrispettivi presenti nei tavoli, servono, appunto, ad allungarli, creando così lo spazio utile ad accogliere altri commensali oltre a quelli presenti nella routine quotidiana. Ovviamente la tavola di natale dei miei genitori necessitava di allunghi. – Dove sono?- chiedo a mio padre, che dal suo letto di dolore risponde – In soffitta, cercali …- La soffitta di una casa di ottuagenari rappresenta e raccoglie un’intera vita e, in quanto tale, dovrebbe essere conservata come un luogo meraviglioso e prezioso, da esplorare con commossa calma nei lenti giorni di pioggia, quando è bello abbandonarsi alla tenerezza del passato e al fiorire dei ricordi, lasciando che le cose ti vengano incontro secondo il loro volere, come impalpabili doni. Ma se devi cercare un oggetto ben preciso e che serve all’istante, quella stessa soffitta può rappresentare l’anticamera dell’inferno (quando apri la porta e la guardi) o l’inferno stesso (quando varchi la soglia). Nel mio caso, al posto di Cerbero latravano innumerevoli fogli di giornale e buste di plastica che avvolgevano, scricchiolando, chissà quali oggetti sottratti alla polvere e all’esistenza da chissà quanto tempo, insieme a casse, scatole, ceste di vimini e altri contenitori tutti destinati a contenere, e di conseguenza a celare, il loro contenuto. Dove si nascondevano gli allunghi? – Dovevi cercare una cosa lunga – direte voi – se erano allunghi…- Troppo facile, signori miei. Perché è vero che gli allunghi sono lunghi, ma se l’artigiano costruttore sa il suo mestiere, li realizza in modo che prendano il minor spazio possibile e quindi, grazie a un abile gioco di cerniere, trasforma due lunghe e ben evidenti stecche rettangolari in due piccoli quadrati, comodi quanto irriconoscibili. – Non li trovo... - comunico riemergendo dalla polvere e dai contenitori - Ci sono... - risponde implacabile la voce dolente al piano di sotto. Rientro sconsolata nell’averno ed ecco il primo miracolo, la prima manifestazione della benevolenza delle cose: dall’immenso e informe ammasso di carta e plastica si distacca e cade per terra un pacchetto, avvolto in una tela verde. Lo apro: gli allunghi! Quadrati e da costruire, ma pur sempre allunghi. Scendo vittoriosa e felice nella stanza da pranzo, ma subito tocco con mano l’evanescente fuggevolezza di ogni gioia – quelli giusti hanno il numero 2 e 3 vicino ai pippoli che vanno messi dentro i buchi col numero 1 e 2 che sono sotto il lato del tavolo che dà dalla parte della finestra... se tua madre non ha girato il tavolo - Non oso di guardare: cosa accadrà se in questa lotteria natalizia non si manifesteranno il 2 e il 3? E invece gli allunghi hanno avuto pietà e sono usciti quelli giusti. Chissà perché ci ostiniamo a dire che gli oggetti sono "inanimati"... Quando i buchi e i pippoli si incastrano amorosamente gli uni negli altri, provo una gioia quasi incontenibile. Ora non resta che apparecchiare la tavola. Naturalmente, una tavola allungata necessita di una tovaglia corrispettiva. – Mamma, dove hai messo la tovaglia lunga? - Al suo posto, cercala... - Salgo al piano di sopra. Nello scaffale che contiene tutte le tovaglie non c’è, ed è anche giusto: quelle di uso quotidiano sono quadrate e, di conseguenza, "corte"! Qual è il "posto" di una tovaglia lunga? Non lo so, veramente, non lo so davvero, lo giuro... Sono le 10.30, il tempo stringe. Decido di abbandonare la tovaglia al suo destino e di passare al cibo. Scendo al piano di sotto e metto a bollire le patate in una pentola e il lesso con gli odori in un’altra. Prendo uova, olio, frullino e inizio a montare la maionese. Lo so che è così scontato da sembrare finto, ma quando arriva la guardia medica? Abbandono al suo destino la maionese, vado ad aprire la porta e salgo al piano di sopra per accompagnare da mio padre il medico, nero come la pece di abiti e di umore. Dopo una visita accurata da cui emerge che cuore, polmoni e pressione sono a posto, il medico se ne va prescrivendo iniezioni e dieta ferrea fino a capodanno. Rassicurato sul fatto di essere in perfetta salute, mio padre ritorna all’istante vispo come un grillo e affamato come un lupo. Dopo una lauta colazione, decide di alzarsi per dirigere i lavori dalla poltrona del salotto, mi chiede solo di trovargli una coperta da tenere per un po’ sulle gambe. E qui, il secondo miracolo. Dove può stare una tovaglia "lunga" (cioè rettangolare e di grandi dimensioni): dentro l’armadio delle coperte, anche loro sono lunghe, no? Stringo al petto la tovaglia rossa del natale, come un’amica ritrovata e salgo di nuovo al piano di sopra. Cara, bella, dolce tovaglia di natale, forse un tempo, prima di trasformarti, eri anche tu una figlia unica disperata e di certo puoi capirmi. Ti prego, tovaglia di natale, stai salda al tuo posto, non far rovesciare i bicchieri, non coprirti subito di macchie, non pendere da una parte e soprattutto, fa comparire i 9 tovaglioli del tuo stesso colore che mi servono per apparecchiarti come si deve... Lei è davvero un’amica: fra le pieghe, come in un abbraccio, stringe ben 12 tovaglioli rossi, stirati a dovere. La distendo sulla tavola dolcemente, accarezzando la stoffa con infinita riconoscenza. Scendo al piano di sotto, giusto in tempo per impedire a mia madre, che ha un equilibrio molto precario a causa dell’artrosi, di salire le scale con in mano la pentola piena di brodo bollente: il cappone da lessare è rimasto di sopra, e se la montagna non va a Maometto... La blocco urlando e lei mi riurla perché le manco di rispetto. La pentola oscilla ma resiste (altra manifestazione del divino nelle cose) e viene ricollocata, insieme a mia madre, al suo posto in cucina. Salgo di sopra, afferro il cappone, scendo di sotto, lo tuffo nel brodo e torno dalla maionese. Ha un’aria disfatta, segnata dall’abbandono. E’ quasi più triste dell’infelice salsa verde di colore giallo che ho preparato il giorno prima. Non reggo alla vista e vado in cerca dei sottolii. Mia madre li ha rimessi "a posto" in cantina (l’avevo dimenticata nel novero dei piani della casa!). Scendo a prenderli e, cosa incontro fra i fiaschi, le bottiglie e i barattoli che abitano quel luogo? Il mio angelo custode, che ha per l’occasione assunto la forma del "multiquick" della Baun. L’oggetto magico, la bacchetta delle fate, questo è un multiquick il giorno di natale! Risalgo con i sottolii e la meraviglia tecnologica, che applico immediatamente alla maionese. Come d’incanto, la poltiglia disanimata riprende vita… - Se vale per la maionese - mi dico, e tento la sorte con la salsa verde: funziona! E poi col purè: evviva! E perché non con la salsa del cinghiale: incredibile! A proposito del cinghiale... E’ giunto il momento di mettere le olive. Apro le due buste che le contengono e mentre sto per rovesciarle nel tegame, mia madre si alza, caracolla, perde l’equilibrio. Lascio cadere le olive e afferro mia madre: le urlo, lei mi riurla. Finalmente si placa e si siede. Io invece mi sdraio per terra e cerco le olive, che sono finite sotto, ma veramente sotto, tutti i mobili della cucina. Le raccolgo una ad una e le lavo, tutte e 46, poi le metto nel cinghiale. Suonano alla porta. I miei cari sono in arrivo e, di lì a poco, a tavola. Sono felice di vederli: sfodero un sorriso e inizio a servire...
Giurano che questo è stato un pranzo di Natale veramente meraviglioso, mai mangiato cose più buone. Per la cronaca: non ho mai ritrovato il trinciapollo, ma il cappone si è autodisossato e il lesso è emerso dalla pentola già diviso in piccoli pezzi.
E questo è stato l’ultimo dei miracoli del natale 2007!


Laura Nuti   
 
   28-12-2007
tanti auguri (quelli con le palle di vetro e la filigrana)
laura viliani   
 
   28-12-2007
cara alessandra
condivido le tue "palle " di natale
continuano ad arrivarmi alberelli e gingle
oltre al fastidio anche l'umiliazione di essere in una lista
lunghissima di indirizzi telematici
auguri comuni quasi ecumenici
non ci meritiamo più neanche un auguri diretto, personale!
a questo genere di attenzioni io non rispondo neanche
quindi evviva le tue palle
un abbraccio

sergio   
 
   28-12-2007
Mia cara fata... riprendendo il discorso, dopo una viglia di natale tutt'altro che pallosa, anzi un vero dramma con suspence e soluzione finale in data odierna: riusciranno gli eroi della mia perlomeno singolare famiglia allargata (figlio con fidanzata - e fin qui tutto bene - madre della madre e marito della madre di mio figlio, ex marito, zio pazzo, padre malato, madre fuori di testa,) a sopravvivere al pranzo di natale preparato per la prima volta solo da me medesima?
Ieri alla 17.30 la situazione era la seguente: dosi dei crostini sbagliate, signora che doveva aiutarmi a preparare un vero pranzo toscano che invece è calabrese e non sa da che parte rifarsi, salsa verde di colore giallo... quante olive ci vanno in un cinghiale??? Come vedi, se non mi spuntano le palle, magari anche quadrate, sarà dura. Alla prossima. Buon Natale mia cara.
Laura Nuti   
 
   28-12-2007
Sono anchio una per cui la festa del Natale è molto importante, per il ricordo e per il presente.
Per sentire quel profumo dell'infanzia sono andata a rileggermi il tuo racconto dell'altr'anno. grazie, a presto
Agnese Isola
Agnese Isola   
 
   24-12-2007
Cara Laura, creatura toscanaccia e turchina, come mi piace quando non sei d'accordo con me! Mi diverte quel tuo saper cogliere gli aspetti del quotidiano banale e l'umorismo che usi per scombussolarlo. Sai bene che non è mia abitudine rintanarmi nel passato come fosse il tempo ideale dell'"innocenza". Anzi, mi piace di più tenere il passato in uno stato di latenza e non usarlo. Ma è anche vero che in giorni di tradizioni come questi siamo attratti dal mondo di ieri perché è il mondo della nostalgia. Tuttavia i ricordi di cui scrivo non intendono negare il presente, anche se è sempre più incomprensibile e inquietante. E non invito nessuno a farlo! Ma, come te d'altronde, non rinuncio alle piccole provocazioni nel tentativo di "dare movimento" al pensiero e a farci sospettare delle comode abitudini. Così come vedi, una volta tanto, siamo d'accordo...
Alessandra Borsetti Venier   
 
   24-12-2007
Mia cara fata, sulla scomparsa delle "palle" ho qualcosa da dire. Innanzi tutto, la cosa si presta, soprattutto per una contadinaccia toscana come me, a un'infinita serie di doppi sensi che ti risparmio, tranne uno che mi ha sempre divertito: quella che appendere all'albero le "palle" di Natale, sia una vera crudeltà ma anche una forma di catartica giustizia nei confronti di ...Natale... nome, fra l'altro, dello zio di mio padre, conosciuto per la sua prepotenza. Però, ancora una volta, mi permetto di non essere del tutto d'accordo con te. Le palle ci sono, eccome, solo non stanno più sugli alberi di natale, ma si sono come dire "globalizzate" anche loro, e stanno per tutto l'anno un po' dovunque. Potrei iniziare, per darti un po' di ragione sull'assenza, dagli uomini che non hanno più le palle per passare alle terribili donne orgogliose che a loro invece siano spuntate, al fatto che per vivere bisogna farsi le palle quadrate (perchè non rotolino? perchè pungano i nemici? mah...), all'espressione più usata per esprime il senso dei rapporti interpersonali o dell'esistere in genere ("che palle!!!"), per estendere il fenomeno al mondo, che come si sa, è tutto un giramento di palle. A proposito delle suddette, ora ti devo lasciare perchè devo andare dai miei a preparare il pranzo per domani. Però non ho ancora finito la tiritera (forse un po' "pallosa", appunto). Alla prossima mail! Baci.

Laura Nuti   
 
   24-12-2007
Cara Alessandra, ti segnalo che i babbi natale si sono trasferiti nelle periferie...


Alessandro    
 
   24-12-2007
Condivido le considerazioni sulle Palle Natalizie : anch'io ricordo gli addobbi di quando ero bambina e li conservo ancora ed uso con religiosa attenzione le antiche tradizionali palle di vetro. Oggi non ci sono più. Sarà sintomo significativo che viviamo in mondo di persone (sopratutto uomini) senza p...? Forse e' solo chi le possiede che si accorge della loro assenza vera o metaforica che sia?



Francesca G.   
 
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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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