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Le predilette pupille del parroco
 
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   21-04-2007
PROVI, PRIMA DI SCRIVERE, A DOCUMENTARSI IN MODO PIù APPROFONDITO SU ENTRAMBI I FRONTI... CERCO DI AIUTARLA, FACENDO SEGUIRE LA LETTERA DEL CARD. Ennio Antonelli in merito a tale vicenda, diffusa nella serata di sabato 14 aprile 2007.



"Nel clamore mediatico esploso intorno alla vicenda di don Lelio Cantini finora ho taciuto, non perché volessi nascondere qualcosa, ma perché, prima di parlare, volevo confrontarmi e consigliarmi con alcuni autorevoli Sacerdoti, i Vicari Foranei. Avendoli incontrati, rompo il silenzio doverosamente per manifestare la mia posizione all’opinione pubblica e soprattutto ai fedeli che attendono una parola chiarificatrice.

Nell’estate del 2005 mi è pervenuto un dossier di lettere firmate, con accuse di gravi delitti nei confronti di don Lelio. Dopo ponderata valutazione, ho deciso un primo intervento. Ho chiesto e ottenuto la rinuncia scritta all’ufficio di parroco, permettendo a don Lelio di andare ad abitare in una casa isolata a Mucciano nel Mugello, senza alcun incarico pastorale.

Essendo don Lelio ultraottantenne e malato ed essendo i fatti a lui contestati ormai lontani nel tempo e giuridicamente prescritti, ritenevo che questo primo provvedimento, almeno provvisoriamente, avrebbe potuto bastare. Col tempo avrei avuto la possibilità di studiare meglio la situazione di fatto e la stessa normativa giuridica, che non conoscevo abbastanza, dato che questo era il primo caso del genere che mi trovavo a gestire in tanti anni di ministero episcopale.
Dopo qualche mese mi sono reso conto che bisognava affrettare altri provvedimenti. Alcuni degli accusatori mi sono venuti a trovare e altri li ho chiamati io stesso. Ho costatato la loro sofferenza che si era riacutizzata dopo tanti anni. Ho chiesto a don Lelio di andare ad abitare in una casa di accoglienza per sacerdoti. Non avendo lui accettato, gli ho ordinato di lasciare comunque la casa di Mucciano, di proprietà diocesana, e di allontanare la sua collaboratrice domestica. Allora egli si è trasferito a Viareggio in una casa di amici. A titolo cautelare gli ho proibito, fino a nuova disposizione, di celebrare la Messa in pubblico e di confessare.

La Congregazione per la Dottrina della Fede, come spesso avviene nei casi gravi e chiari, ha autorizzato il processo penale amministrativo a norma del canone 1720: notifica delle accuse e delle prove all’accusato con possibilità di difendersi personalmente o tramite avvocato, valutazione accurata da parte del Vescovo, assistito da due assessori, decreto conclusivo.

Don Lelio è stato riconosciuto responsabile di delittuosi abusi sessuali su alcune ragazze negli anni 1973-1987, di falso misticismo, di controllo e dominio delle coscienze. Sono misfatti oggettivamente gravi che meritano riprovazione e condanna e che fanno soffrire prima di tutto le vittime, ma con loro anche la Chiesa e il Vescovo.

A don Lelio sono state inflitte, a norma del canone 1336§1, le seguenti pene per la durata di cinque anni: privazione della facoltà di confessare, proibizione di celebrare la Santa Messa in pubblico, proibizione di celebrare altri sacramenti, proibizione di assumere incarichi ecclesiastici. Inoltre sono state aggiunte, a norma del canone 1340§1, le seguenti penitenze: versare per cinque anni un’offerta annuale in denaro a una istituzione caritativa e darne rendiconto al vescovo; recitare ogni giorno per un anno intero il Salmo 51 “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia” oppure le litanie della Madonna. Queste pene e penitenze, come tutta la procedura, sono state concordate con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Si è tenuto conto dell’età avanzata, 84 anni, e del malfermo stato di salute di don Lelio.

Comprendo che le vittime nella loro sofferenza ritengano la punizione troppo leggera. Ma bisogna tenere presente che la Chiesa deve dare testimonianza alla divina Misericordia e mirare soprattutto al ravvedimento del peccatore e cercare di vincere il male con la forza della mitezza. Don Lelio da parte sua, pur cercando di ridimensionare le sue colpe, ha detto di essere pentito e di essere disposto a chiedere perdono alle persone offese, purché venissero ad incontrarlo singolarmente e non tutte insieme in gruppo. Ultimamente si è convinto anche ad andare in una casa di accoglienza per sacerdoti.

Mi rendo conto che le persone offese sono le prime ad aver diritto alla solidarietà e al sostegno spirituale da parte di tutta la comunità cristiana. Da parte mia sono sempre disponibile al colloquio personale e di gruppo. Comprendo non solo la loro sofferenza, ma anche la loro ira. Purtroppo non posso far sì che il male non sia avvenuto. Posso solo aiutare a superarlo e a guardare avanti. La Chiesa fiorentina, Arcivescovo, Vescovo Ausiliare, Sacerdoti, Diaconi e Cristiani laici, consapevole che don Lelio è un suo figlio e un suo presbitero, si fa carico della iniquità che è stata commessa e vuole vincere il male con il bene, impegnandosi a rafforzare lo spirito di comunione tra tutte le sue componenti e a farsi vicina nella preghiera, specialmente durante la Santa Messa, e nella carità fraterna alle vittime, che pure sono suoi figli e figli profondamente addolorati. Lo stesso don Lelio potrà sempre contare sull’aiuto e sulla vicinanza dei fratelli di fede e di sacerdozio nelle sue necessità spirituali e materiali.

Nella stampa ho letto recriminazioni perché la vicenda non è stata trattata apertamente, in pubblico, fin dall’inizio. Non mi pare che sia questo lo stile evangelico di trattare le persone, per quanto gravi siano i peccati di cui si siano rese responsabili. La procedura seguita risponde in tutto alla prassi stabilita dalla Santa Sede. A parte la notifica delle decisioni all’interessato e alla parte accusatrice, la pubblicazione è prevista solo per il decreto finale e solo nel caso che la vicenda diventi di dominio pubblico. Sul prossimo numero del Bollettino Diocesano il decreto riguardante don Lelio sarà pubblicato. Ma fin d’ora posso annunciare che non conterrà alcun elemento di novità.

Ho trovato nella stampa anche insinuazioni e accuse nei confronti del Vescovo Ausiliare Mons. Claudio Maniago. Chi lo conosce da vicino non può che stimarlo grandemente, così come non si possono non stimare gli altri ottimi sacerdoti usciti dal gruppo che si era formato intorno a don Lelio. L’autenticità della loro vocazione e la piena libertà della loro scelta è garantita dal discernimento e dal lungo cammino formativo compiuto in Seminario ed è testimoniata dalla esemplare fedeltà e dedizione che esprimono nella loro vita e nel loro ministero. Dio scrive dritto anche tra le righe storte. Il Vescovo Claudio come tanti altri ha apprezzato il suo parroco per la sua azione pastorale e ha avuto stima e fiducia verso di lui. Quando ha appreso la drammatica verità, ne ha sofferto profondamente, sebbene la sua sofferenza non si sia manifestata nell’aperta indignazione quanto piuttosto in un senso di misericordia. Quanto poi al ventilato progetto di una Chiesa parallela, chi conosce la fedeltà al Papa e all’Arcivescovo e la dedizione alla Chiesa di Mons. Maniago, dei preti e di molti laici cresciuti nella parrocchia “Regina della Pace” non può che considerarlo al massimo un fantasma, forse balenato nella fervida immaginazione di don Lelio per dare entusiasmo al gruppo, ma non entrato effettivamente nella realtà in modo da destare qualsiasi ragionevole preoccupazione.

Auspico che la vicenda venga considerata da tutti con realismo ed equilibrio e che non si moltiplichino le sofferenze delle persone offese e della Chiesa fiorentina, particolarmente dei tanti sacerdoti che la servono con generosità e limpido amore."

Ennio Card. Antonelli
Arcivescovo di Firenze
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