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Nicoletta Varani. Il dramma degli schiavi-bambini nelle miniere dell’Africa sub-sahariana 
Diritti Umani in Africa – 2
17 Gennaio 2009
 

Sono passati quasi vent’anni dall’adozione da Parte delle Nazioni Unite (1989) della “Convenzione dei Diritti del Fanciullo” e questo documento, stando alle cifre dei rapporti internazionali che ogni anno vengono pubblicati, appare sempre più un elenco di diritti di “carta”.

La Convenzione dei Diritti dell'Infanzia, elaborata dalla Commissione delle Nazioni Unite sui Diritti Umani il cui principio generale recita «l'umanità ha il dovere di dare al fanciullo il meglio di se stessa», ha l'obiettivo di fissare dei parametri che difendano i bambini contro le varie forme di trascuratezza e abuso che essi affrontano ogni giorno in ogni Paese. Invita i genitori, gli uomini e le donne in quanto singoli, come anche le organizzazioni non governative, le autorità locali e i governi nazionali a riconoscere questi diritti e a fare in modo da assicurare il rispetto per mezzo di provvedimenti legislativi e di altre misure da adottarsi gradualmente in applicazione di dieci principi (tab. 1). È prudente riguardo alle differenze culturali, politiche e materiali dei diversi Stati, enfatizza il fatto che la responsabilità primaria della cura e protezione dei bambini ricada sulla famiglia, è attenta però a salvaguardare gli interessi dei bambini anche all’interno del nucleo familiare. È stata ratificata da 191 Nazioni e quasi tutti i Paesi dell’Africa sub-sahariana eccetto la Somalia l'hanno ratificata. Ma questo non è sufficiente tanto che l’impegno internazionale è volto anche a far sì che la ratifica da parte degli Stati si concretizzi in leggi nazionali che vincolino al rispetto di questi diritti enunciati. Le leggi per poter essere efficaci devono essere sostenute dalle politiche sociali,dai cambiamenti istituzionali e dagli stanziamenti di bilancio. Attualmente il numero di Paesi che hanno messo in bilancio i diritti dell’infanzia è alquanto esiguo e lo sarà ancor meno vista la negativa congiuntura economica globale in atto.

 

 

Tabella 1 - I principi della “Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo”

 


PRINCIPI

Enunciato

I

Il fanciullo deve godere di tutti i diritti enunciati nella presente Dichiarazione. Questi diritti debbono essere riconosciuti a tutti i fanciulli, senza eccezione alcuna e senza distinzione e discriminazione fondata su razza, colore, sesso, lingua, religione, opinioni politiche o di altro genere, origine nazionale o sociale, condizioni economiche, nascita, o ogni altra condizione sia che si riferisca al fanciullo stesso o alla sua famiglia.

II

Il fanciullo deve beneficiare di una speciale protezione e godere di possibilità e facilitazioni, in base alla legge e ad altri provvedimenti, così da essere in grado di crescere in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale, spirituale e sociale in condizioni di libertà e di dignità. Nell'adozione delle leggi rivolte a tal fine la considerazione determinante deve essere rivolta al fanciullo.

III

Il fanciullo ha diritto, sin dalla nascita, a nome e nazionalità.

IV

Il fanciullo deve beneficiare della sicurezza sociale. Deve poter crescere e svilupparsi in modo sano. A tal fine devono essere assicurate, a lui e alla madre, le cure mediche e le protezioni sociali adeguate, specialmente nel periodo precedente e seguente la nascita. Il fanciullo ha diritto ad un’alimentazione, ad un alloggio, a svaghi e a cure mediche adeguate.

V

Il fanciullo che si trova in una situazione di minoranza fisica, mentale o sociale ha diritto a ricevere il trattamento, l’educazione e le cure speciali di cui abbisogna per il suo stato o la sua condizione.

VI

Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità ha bisogno di amore e di comprensione. Egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d'affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre. La società e i poteri pubblici hanno il dovere di aver cura particolare dei fanciulli senza famiglia o di quelli che non hanno sufficienti mezzi di sussistenza. È desiderabile che alle famiglie numerose siano concessi sussidi statali o altre provvidenze per il mantenimento dei figli.

VII

Il fanciullo ha diritto a una educazione, che, almeno a livello elementare deve essere gratuita e obbligatoria. Egli ha diritto a godere di un educazione che contribuisca alla sua cultura generale e gli consenta, in una situazione di eguaglianza di possibilità, di sviluppare le sue facoltà, il suo giudizio personale e il suo senso di responsabilità morale e sociale, e di divenire un membro utile alla società. Il superiore interesse del fanciullo deve essere la guida di coloro che hanno la responsabilità della sua educazione e del suo orientamento; tale responsabilità incombe in primo luogo sui genitori. Il fanciullo deve avere tutte le possibilità di dedicarsi a giuochi e attività ricreative che devono essere orientate a fini educativi; la società e i poteri pubblici devono fare ogni sforzo per favorire la realizzazione di tale diritto.

VIII

In tutte le circostanze, il fanciullo deve essere fra i primi a ricevere protezione e soccorso.

IX

Il fanciullo deve essere protetto contro ogni forma di negligenza, di crudeltà o di sfruttamento. Egli non deve essere sottoposto a nessuna forma di tratta. Il fanciullo non deve essere inserito nell’attività produttiva prima di aver raggiunto un'età minima adatta. In nessun caso deve essere costretto o autorizzato ad assumere un’occupazione o un impiego che possano nuocere alla sua salute o che ostacolino il suo sviluppo fisico, mentale, o morale.

X

Il fanciullo deve essere protetto contro le pratiche che possano portare alla discriminazione razziale, alla discriminazione religiosa e ad ogni altra forma di discriminazione. Deve essere educato in uno spirito di comprensione, di tolleranza, di amicizia fra i popoli, di pace e di fratellanza universale, e nella consapevolezza che deve consacrare le sue energie e la sua intelligenza al servizio dei propri simili.

 

 

E purtroppo la “crisi alimentare” in atto, in questi ultimi due anni , ha già vanificato in parte i traguardi raggiunti in termini di riduzione del lavoro minorile (dal 2000 al 2005) e conseguente aumento del tasso di scolarizzazione e nei prossimi mesi c’è il rischio, quasi una certezza, di un nuovo aumento di bambini sfruttati per lavorare e procurare cibo poiché la “crisi alimentare globale” minaccia di generare ulteriori pressioni sulle famiglie povere e potrebbe portare un numero crescente di ragazzi ad abbandonare la scuola per cercare lavoro.

Lo sfruttamento dei minori nel Mondo avviene ormai attraverso modalità sempre più articolate e in situazioni di clandestinità “protette”come testimoniano le statistiche riferite ai rapporti annuali delle più importanti organizzazioni internazionali quali l’UNICEF, l’ILO (International Labour Organisation), o ancora Save The Children, la più grande organizzazione internazionale indipendente per la difesa e la promozione dei diritti dei bambini.

In base alla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia (1989) non tutti i tipi di lavoro violano i diritti dell’infanzia e viene riconosciuto che il lavoro possa avere sia effetti positivi che negativi per la realizzazione dei diritti dell’infanzia. Infatti, dal lavoro minorile possono anche derivare benefici a favore di una serie di diritti cui bambine e bambini devono avere accesso, come il diritto alla sopravvivenza e il diritto all’educazione.

Sia l’UNICEF sia le strutture del commercio equo e solidale accettano una tipologia di bambini lavoratori: si tratta di quelli che aiutano all’interno della famiglia contadina o artigiana che lavora in proprio, purché per poche ore al giorno e purché il loro lavoro non interferisca con l’istruzione scolastica. Ma naturalmente a volte è molto difficile stabilire dove finisca il lavoro familiare e dove cominci una qualche forma di sfruttamento.

Questo non impedisce, al contempo, di affermare che vi sono forme estreme di lavoro che violano i diritti dei minori e che pertanto devono essere condannate. Per quanto riguarda le tipologie di lavoro che hanno effetti negativi sulla vita dei minori, occorre distinguere tra lavori in cui il livello di nocività è estremo, e dove dunque le violazioni dei diritti sono impossibili da prevenire (es. sfruttamento sessuale e lavoro nelle miniere), e tipi di impiego dove l’effettivo miglioramento delle condizioni lavorative può ridurre il grado di nocività.

In questo contesto l’attivazione della Convenzione ILO n.182 sulle “Peggiori forme di sfruttamento del lavoro Minorile “è un importante strumento, ma purtroppo anche questo documento è solo “carta” poiché se si fa riferimento nello specifico allo sfruttamento dei bambini sui luoghi di lavoro, i comuni denominatori che si evincono dai dati statistici ( solitamente stime poiché non è possibile parlare di dati reali quando si opera in situazioni di clandestinità) sono: costrizione a lavorare oltre 12 ore al giorno, privazione dell'istruzione, della salute e del gioco.

In particolare nell’Africa sub-sahariana lo sfruttamento dei minori è in aumento poiché è strettamente collegato al fenomeno, abbastanza recente, dei ragazzi abbandonati le cui cause sono interconnesse con la morte prematura di uno o di tutti e due i genitori oppure alle migrazioni interne del Continente africano dovute soprattutto alle guerre e ai conflitti endemici. In Ruanda la guerra civile ha reso orfani oltre 100.000 bambini e si contano ormai a migliaia i bambini e i ragazzi che lavorano e vivono sulla strada nella capitale Kigali, e così in Zaire, Burundi, Angola. In Zambia, uno dei Paesi maggiormente interessati dall'emergenza AIDS, il numero dei ragazzi di strada, resi orfani dalla malattia dei genitori, è in continuo aumento. Sono questi solo alcuni esempi per comprendere meglio le cifre degli ultimi Rapporti Internazionali ILO da cui emerge che l’Africa sub-sahariana a livello globale risulta essere “la maglia nera” con una stima (molto probabilmente il dato reale è maggiore) di circa 50 milioni di bambini economicamente attivi pari al 26% della popolazione totale. Molti di questi bambini svolgono attività lavorative pericolose tra cui il lavoro nelle miniere per l’estrazione di oro e di altri minerali.

 

 

Negli ultimi anni sono sorte tuttavia diverse associazioni – spesso proprio nel Sud del mondo, e per iniziativa degli stessi bambini lavoratori – le quali chiedono che il lavoro minorile venga riconosciuto e regolamentato secondo le possibilità e i bisogni dei bambini.

Anziché la soppressione indiscriminata del lavoro minorile – giudicata irrealizzabile e talvolta persino dannosa, perché priverebbe le famiglie di un importante sostegno – i movimenti (molti sono diffusi soprattutto in America latina) chiedono dignità per il lavoro svolto dai bambini e dagli adolescenti, attraverso: orari compatibili con la frequenza scolastica, assicurazione, salari regolari e adeguati agli sforzi, misure di sicurezza e di prevenzione degli infortuni o delle malattie e così via.

Per quanto concerne l’Africa il movimento più importante è il MAEJT (Mouvement africain des enfants et jeunes travailleurs) Movimento Africano dei Bambini e dei Giovani Lavoratori, costituito da una rete di associazioni (oggi sono circa 64 associazioni presenti in altrettante città, distribuite in una ventina di Stati dell’Africa Occidentale e Centrale). Il movimento è nato nel 1994 a Bouakè in Costa D’Avorio dove si è tenuto il primo incontro internazionale sui lavoratori–bambini e si propone di difendere i diritti dei minori che lavorano attraverso: il dialogo con le autorità, iniziative di solidarietà reciproca, e campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. In questa occasione è stata stilata la dichiarazione dei principi del MAEJT, che ha identificato 12 diritti fondamentali che il movimento si prefigge di promuovere e difendere, dal diritto a essere rispettati a quello di essere ascoltati o a divertirsi e giocare.

Il fenomeno dello sfruttamento minorile rappresenta per il Continente africano l’ennesima e forse la più importante sfida. Le forme di sfruttamento più comuni, oltre a quello a scopi sessuali, sono: il reclutamento di bambini soldato, il traffico di bambini, il lavoro nei campi e soprattutto nelle miniere. L’ILO ha stabilito una specifica normativa sul lavoro in miniera, con la Convenzione n. 176 sulla Sicurezza e la Salute in miniera e la relativa Raccomandazione n. 183. Nel 2000 e 2001, le riunioni dei rappresentanti dei Governi, degli imprenditori e dei lavoratori - secondo la struttura tripartita dell’ILO hanno sostenuto l’adozione di attive misure contro il lavoro minorile nelle miniere di piccole dimensioni. Da quel momento, il Programma Internazionale per l’Eliminazione del Lavoro Minorile (IPEC) dell’ILO si è impegnato in un certo numero di progetti di cooperazione tecnica per mostrare in che modo il lavoro dei bambini nelle miniere e nelle cave può essere fermato.

Sempre sulla base delle stime dell'ILO sono circa oltre un milione i bambini che attualmente lavorano in questo settore e mettono a repentaglio la propria vita nelle miniere d’oro e di altri minerali preziosi e, in alcune parti del mondo, il loro numero è in crescita.

Nell’Africa sub-sahariana, nonostante le miniere siano situate in luoghi remoti, quasi inaccessibili, sono però concentrate in determinate aree del Sudafrica, dell’Africa Centro-occidentale, della Tanzania unica regione al mondo che possiede giacimenti di zoisite per la cui estrazione vengono utilizzati soprattutto bambini.

Prima di approcciare casi di studio più noti, come quelli inerenti il lavoro minorile nelle miniere di oro, carbone e, della new entry, coltan, elemento prezioso per i suoi impieghi nei congegni elettronici miniaturizzati, compresi i telefoni cellulari, i cui maggiori giacimenti sono concentrati nella provincia orientale del Kiwu della Repubblica Democratica del Congo (argomento che meriterebbe un intero approfondimento), è interessante parlare delle miniere di Arusha nelle Merelani Hills, nel nord-est della Tanzania, l’unica regione al mondo che dispone di giacimenti di zoisite, ovvero tanzanite, una gemma rara e pregiata dai sorprendenti riflessi blu e viola. Un’autentica ricchezza naturale scoperta alla fine degli anni Sessanta; un tesoro minerario d’inestimabile valore che viene portato alla luce, giorno dopo giorno, da una miriade di piccole imprese locali, affiancate dalla multinazionale sudafricana Afgem che ha ottenuto in esclusiva lo sfruttamento dei giacimenti più ricchi direttamente dal governo di Dar es Salaam.

Qui, fino a trent’anni fa, pascolavano nella savana le mandrie dei masai poi la zona è stata trivellata e le colline sono state segnate da strade polverose e squallide distese di baracche. Al posto dei pastori ora ci sono i minatori. Migliaia di minatori e tra loro tantissimi bambini e ragazzini che giungono da ogni parte del Paese in cerca della pietra luccicante e che sognano di accumulare ricchezze.

Sul mercato mondiale delle pietre preziose, la quotazione della tanzanite è seconda a quella dei diamanti e prima rispetto a quella di rubini, zaffiri e smeraldi e non a caso gli esemplari più scintillanti si trovano nelle migliori gioiellerie di Parigi, New York e Londra. Solo negli Usa il suo giro d’affari sfiora i 500 milioni di dollari l’anno. Il colosso dell’oreficeria Tiffany l’ha fatta diventare una delle gemme più ricercate e popolari del mondo e segno distintivo di personaggi importanti , dei vip. Ma ai piccoli minatori della Tanzania arrivano solo le briciole del business: il loro guadagno medio è di soli 2 dollari al mese.

Secondo stime delle organizzazioni umanitarie, tra i 1.500 e i 3.000 baby-minatori sono impiegati nelle miniere tanzaniane (importanti sono quelle d’oro con una produzione che colloca la Tanzania al secondo posto in Africa dopo il Sudafrica e al tredicesimo nel Mondo), oltre 500 di loro si calano ogni mattina nelle profonde gallerie sotterranee delle Mererani Hills. Qui i bambini sono molto richiesti, ed è facile intuire il perché: lavorano anche tredici ore al giorno, senza protestare né scioperare; riescono a infilarsi nei tunnel più stretti e pericolosi e fanno da rapida spola tra gli uomini in profondità e i rifornimenti in superficie. Il tutto per una manciata di soldi, perché la gran parte di questi bambini non ha famiglia né casa, ed è disposta a qualsiasi sacrificio pur di mangiare. Vivono in condizioni disperate, sono costretti a calarsi nelle grotte fino a trecento metri di profondità senza alcuna protezione, senza stivali né guanti solo con una precaria torcia sulla fronte, che potrebbe spegnersi in ogni momento. Gli stessi minatori raccontano di ragazzini dimenticati in fondo alle miniere e di altri uccisi dall’esplosione delle mine.

 

 

Altro caso di studio da affrontare è un fenomeno, spesso rimosso dai media, anche quando si parla di sfruttamento minorile: le condizioni delle bambine che lavorano nelle miniere.

Una recente ricerca dell'ILO, condotta in 12 comunità minerarie appartenenti a 4 Paesi (tre dei quali dell’Africa sub-sahariana: Tanzania, Niger e Ghana), ha fatto luce su questo drammatico fenomeno dove persino le istituzioni hanno fino ad oggi ignorato lo stato della realtà.

Gli stessi abitanti delle zone minerarie oggetto dell’indagine ILO segnalano che le bambine non vengono prese in considerazione in quanto tali neanche quando si fanno i progetti per l'eliminazione del lavoro minorile.

Le miniere di cui si è occupata la ricerca sono quelle che si trovano ai margini di giacimenti importanti, si caratterizzano come piccole cavità, dove un pesante lavoro può dare dei modesti risultati, cioè delle limitate estrazioni con mezzi artigianali. È uno di quei lavori che vengono definiti “informali”, dove la gente si arrangia come può, per riuscire a vivere. In questi contesti il lavoro dei minori in miniera rientra addirittura nelle attività familiari. E questo significa che i bambini ripetono, come possono, i ruoli del padre e della madre e le bambine sono gravate dal doppio peso di responsabilità, sia all'interno della famiglia che nel lavoro di ricerca, estrazione e trasporto dei minerali.

Sono bambine giovani, alcune molto piccole, cominciano anche a solo otto o nove anni, si svegliano presto al mattino per lavorare nelle cave, dove faticano fino a dove arriva il limite della loro forza, stabilita e sottomessa agli ordini impartiti dal padre o dai fratelli, per poi rientrare a casa ad aiutare la madre cucinando o procurando l'acqua e ad occuparsi degli animali per il trasporto dei detriti delle miniere.

Nelle cavità o nei letti dei fiumi vanno alla ricerca di rame, oro, cobalto, diamanti ed altre pietre preziose. Spesso rompono la roccia in pezzi piccoli e la mescolano al mercurio per estrarre l'oro.

In Ghana, più della metà delle ragazze intervistate ha detto di sentirsi esausta dopo un giorno di lavoro, di accusare dolori diffusi nel corpo e all'addome, di essersi tagliata, di avere la tosse. In Niger, dove la media delle ragazze che lavora all'estrazione dell'oro è di 13 anni, lamentano mal di testa continui, dolori alle braccia, vertigini, difficoltà respiratorie nella notte, irritazioni e bruciori di pelle. Le ragazze si occupano anche di dare da mangiare e da bere agli asini, che sono nella migliore delle ipotesi l'unico mezzo di trasporto, vale a dire quando non rimane che caricarsi il peso sulle spalle o sulla testa. In Tanzania, le bambine trasportano su di sé 20-25 litri d'acqua da tre a quattro volte al giorno. Lavorano oltre 12 ore al giorno, per sei giorni alla settimana, in costante contatto con sostanze tossiche e respirando polveri fini. E ovviamente in aggiunta al danno fisico c'è quello psicologico, di certo non meno grave. Questi giacimenti si trovano in zone remote e succede che, alla scoperta di uno seguono sempre dei veri e propri processi di migrazione e si formano così dei villaggi con piccole attività commerciali, bazar di abbigliamento usato, taverne e punti di ritrovo. Molto spesso le giovani donne lavorano in questi posti, dove vengono a contatto con realtà degradanti e si prostituiscono. In tutte le zone oggetto dell'indagine, gli abusi e lo sfruttamento sessuale sono allarmanti. Ad esempio in Tanzania 85 su 130 bambine intervistate nel corso dell’inchiesta hanno dichiarato di essersi prostituite, intimidite e nella speranza di potere aver qualche soldo così incontrare un uomo che le possa sposare. Sono giovani donne fragili e vulnerabili, sotto ogni aspetto, alcune non hanno mai frequentato una scuola o se lo hanno fatto è solo episodicamente, in pratica non hanno mai ricevuto un’istruzione di base.

 

 

Dopo questi esempi forse meno noti o addirittura impensabili veniamo a chiudere il quadro del fenomeno dello sfruttamento dei minori nelle miniere dell’Africa sub-sahariana non entrando nei particolari di singoli casi ma per tentare di mettere in evidenza tragiche caratteristiche che accomunano diverse tipologie di miniere da quelle di diamanti a quelle di carbone, da quelle d’oro ad altre ancora.

In tutte vengono impiegati e sfruttati come schiavi bambini tra gli otto e i tredici anni costretti a “sparire” sottoterra in cunicoli stretti, angusti e molto pericolosi che potrebbero crollare da un momento all’altro. È sufficiente un improvviso cedimento del terreno, un movimento sbagliato per disattenzione per rimanere intrappolati, forse per sempre, a centinaia di metri di profondità. Nonostante ciò i piccoli minatori non sembrano preoccupati per la loro sorte: sanno di aver poco da perdere e in ogni caso non hanno alternative che scendere nelle viscere della terra, per sopravvivere.

Se non fosse per le coraggiose indagini di organismi internazionali e di ONG molti di questi sono drammi destinati a restare sepolti nelle viscere profonde dell’Africa.

Alla luce di queste atroci realtà forse è condivisibile la posizione di alcuni economisti che hanno coniato a proposito delle risorse naturali, ancora recentemente, scoperte in Africa, l’espressione “resource curse”: per indicare la “maledizione” delle risorse che colpirebbe alcuni Stati africani che potrebbe rappresentare al tempo stesso, un’importante risorsa e un ostacolo per i Paesi che ne dispongono: in alcuni contesti finirebbe, infatti, per impedire la diversificazione del modello di specializzazione, bloccando lo sviluppo delle attività manifatturiere nascenti e favorendo il sorgere di oligarchie locali. In questo contesto si potrebbe aggiungere favorendo anche lo sviluppo o la rinascita di forme di schiavitù dichiarate illegali da più governi ma che in pratica non hanno mai agevolato l'azione dei gruppi internazionali che cercano da tempo di porre fine a queste pratiche che in realtà fanno parte di una certa cultura predisposta da sempre verso l’asservimento da parte del più debole nei confronti del più forte.

 

 

Nicoletta Varani


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