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In libreria/ Maria Lanciotti. “La ferita delle acque” di Antonio Bennato
09 Maggio 2024
 

Nel silenzio un poeta chiarisce la propria vocazione ma è nella meditazione che genera la parola tessitrice di versi”

 

 

Cronache rosse e Silenzi nel buio. Ancora una volta Antonio Bennato, ‘poeta delle pietre’ ma anche ‘poeta del domani’, dà voce al suo dire poetico in un rinnovato patto di fedeltà che da sempre strenuamente lo impegna.

La poesia non si spiega. La poesia si accoglie, dono che chiede dono, in una obbligazione inestinguibile finché resiste una scintilla di energia vitale e consapevole.

Cronista del “dramma di un mondo nemico”, ostinatamente “in cerca d’una voce di pietà” e di quella pacificazione che pure sa impossibile da raggiungere nell’eterno conflitto degli opposti, Antonio Bennato si riconsegna al suo destino di indagatore e testimone della realtà profonda che tutti ci contiene e governa, non già con l’ambizione di interferire nel corso degli eventi ma per l’estrema esigenza di strutturare ed esternare la molteplicità di sentimenti ed emozioni che fanno di lui, uomo di fede e spirito libero, un perenne campo di battaglia.

A questo punto del percorso ‒ dopo il folgorante esordio nel 1988 con I santi li ho tirati giù dal cielo edito da Mondadori ‒ di un narratore e poeta fuori da ogni schema e da ogni scuola, non accostabile ad altri che a se stesso, mistico e materico, dotto e spontaneo, non resta che dare spazio a stralci di versi scorrendo questa ultima raccolta di Antonio Bennato La ferita delle acque ‒ in cui si trovano inserite anche alcune liriche premiate in occasione del Centenario di Roma Capitale (1870/1970) ‒ per un approccio che stimoli più intenso accostamento con la poetica e le tematiche di un autore alla continua ricerca di strade e di pane, per un mondo più giusto e vero.

 

 

Da Cronache rosse dietro l’angolo ‒ prima parte:

 

ti chiamavo: “Mare!”

e allora con affettuoso azzurro

inumidivi il mio nome: “Tatò!”.

(Mare! ‒ pag. 14)

 

Quando tornerò da mamacita

non busserò alla sua lunga veste

e non le chiederò altro pane

dopo che con l’ultima mollica

ho giocato a mangiare una grande nave.

(Rio Bravo ‒ pag. 15)

 

Ti parlerò di Noemi

e dell’acre carestia

che rese inerti i forni

della Casa del Pane:

nei campi era mancata la festa

ruminata da un sole scortese.

(La moabita ‒ pag. 17)

 

Sarà la Grande Ascia

la nostra coscienza che cadrà

per spezzare il tavolo

dietro cui è il mondo volpesco

a vendere serpi.

Lasceremo lo spirito ipocrita

accompagnare nella notte

semi d’ombre

e seguiremo l’Uomo

che invita alla Dignità.

(L’ascia pag. 20)

Nel segno di Roma” (1970)

 

Ossee grida di madre

presso il bimbo e il canto;

lei lo solleva

nel cerchio delle braccia

ma il bimbo che è già del cielo

la guarda dai suoi tre anni,

e dice: “Lo dirò a Dio”.

(Lo dirò a Diopag. 22)

 

L’urlo della Storia che s’alza da pozze di sangue

si spingerà come un turbine nella sala del banchetto

e dinanzi al lettuccio del suo Redentore

contando morti di tutte le trincee

laverà con lacrime quei Piedi che ferendosi

attraverso sterpi portavano Vita

e li asciugherà con capelli di Giustizia e Dignità

(L’urlo della Storia ‒ pag. 32)

Nel segno di Roma” (1970)

 

Smetta di far sfoggio di sé

il cactus nel deserto.

Smettano queste bocche-astronavi

di masticare l’uomo

con denti-proiettili. Invece

c’impazzi la risata chiara di Pulcinella.

(Salvare il pane ‒ pag. 45)

 

 

Da Silenzi nel buio ‒ seconda parte:

 

Chi adesso raccoglierà la poesia

di Antonio dispersa per ogni dove?

Non ne ero padrone,

l’avevo ricevuta

dalla cima verde d’un abete secco

e avevo consentito, senza sapere

quanto fosse difficile,

ad affidarla viva, intatta,

a chi affollava

le strade malinconiche del quartiere

perché potesse fare

provvista di faville

prendendo da infuocate sillabe.

(Nel vento ‒ pag. 55)

 

Viene su argentee piste

la sera a farsi pianto

e il pianto grido

e mi trovo nel coro

stringendo una smorfia drammatica

della terra nella sinistra

ma consegno con la destra

una mia lacrima

passaporto immortale.

(La sera pag. 56)

Nel segno di Roma” (1970)

 

Se potessi, attaccherei code

alle lucertole: pace a voi, direi,

e pace a questo mio sogno

subito mozzato con un bastone,

dal tuo bastone intagliato

nel fetore d’una sostanza corrotta.

Poi, ricominciai con le scarpacce

per tornare all’ira delle erbe:

rividi il loro sogno di spuntare,

rividi ch’era negato dal catrame.

(Lucertole ‒ pag. 59)

 

Attendo un sogno

che tarda a venire;

forse ha perso la via

e ora lotta

con le ronde notturne

o forse è frastornato

dalla gazzarra delle foglie

che gli navigano intorno.

Eppure, lo aspetto.

Di certo verrà

in fondo alla notte

tra spintoni d’alba

e saprò del dolore

con cui ha percorso

i colori del pensiero

cosi vicini alle porte dell’anima

cosi vicini a un grido di giustizia.

(Attendo un sogno pag. 57)

 

Maria Lanciotti

 

 

Antonio Bennato, La ferita delle acque - Poesie

ilmiolibro, 2024, pp. 80, 14,00


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